Massacro di Ponticelli, i 3 condannati liberi dopo 27 anni: “Siamo innocenti”

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Massacro di Ponticelli del 1983, la storia dei tre presunti assassini condannati nei 3 gradi giudizio e liberi dopo 27 anni di carcere è destinata ancora a far discutere.

I tre, ovvero Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo, 20enni quel 3 settembre 1983 sono stati ascoltati dalla commissione parlamentare d’inchiesta. “Sulla vicenda si annidano ombre e gli imputati che da sempre si professano innocenti hanno chiesto per tre volte la revisione del processo”, spiega il deputato Stefania Ascari che ha chiesto la loro audizione davanti alla commissione.

La strage di Ponticelli a Napoli il 2 luglio 1983 sconvolse l’Italia. Barbara Sellini e Nunzia Munizzi, rispettivamente 6 e 9 anni, abitavano nello stesso palazzo. Furono torturate, violentate, uccise e date alle fiamme. I tre furono arrestati due mesi dopo. Condannati all’ergastolo e dopo 27 anni liberi grazie ad alcuni permessi per buona condotta.



    “Siamo innocenti. E siamo ancora qui a lottare perche’ un giorno possiamo dire ce l’abbiamo fatta”, hanno sostenuto davanti ai parlamentari i tre che in molti passaggi dei loro interventi si sono commossi.

    “Dopo 40 anni vogliamo che il nostro nome torni puliti e che il mostro finisca in carcere”, la loro richiesta corale. Imperante, La Rocca e Schiavo hanno raccontato alla Commissione una surreale vicenda investigativa, a tratti paradossale, che ha portato al loro arresto “nonostante la testimone chiave, Silvana Sasso, ragazzina salva per miracolo perche’ non segui’ le amiche, non li abbia riconosciuti e abbia accusato un altro uomo, con baffetti, capelli biondi e lentiggini”.

    Caratteristiche somatiche che nessuno dei tre aveva. E ancora, elencano, la Fiat 500 blu con la scritta ‘vendesi’ mai trovata dove salirono le due bimbe, testimoni a favore degli imputati arrestati per falsa testimonianza, dubbi e ritrattazioni.

    “La nostra condanna e’ scattata il 3 settembre del 1983, quando ci fermarono. I processi non sono serviti a nulla perche’ non hanno voluto ammettere i lori errori giudiziari e le nostre parole inutili, hanno deciso che eravamo noi colpevoli”, hanno detto. Sentiti uno per volta ognuno di loro ha raccontato gli ultimi momenti di liberta’.

    “E’ stato un complotto ed e’ stato cosi’ dal primo momento – dicono – la nostra condanna e’ stata decisa per l’opinione pubblica, per le pressioni dei politici, della stampa”.

     Massacro di Ponticelli, prove e reperti scomparsi

    Il vero colpevole? Un nome rimbalza piu’ volte nel corso dell’audizione ed e’ quello di Corrado Errico, che e’ stato vagliato e poi scartato dall’allora pm Arcibaldo Miller: “Aveva una 500 di colore blu con la scritta vendesi e ha rottamato l’auto, ha precedenti per violenza e atti di libido e l’8 luglio 1983 ha dichiarato che era andato a cercare bambine e infine il alibi smentito dalla moglie. Aveva le lentiggini come aveva detto la bambina scampata”.

    Posizione incredibilmente stralciata dal caso “perche’ avevano gia’ i tre mostri in un processo chiuso nei tre gradi in 15 mesi”. Furono arrestati “perche’ accusati da Carmine Mastrillo, uomo del rione Incis, che ha raccontato di aver sentito dai tre ragazzi nel corso di uno sfogo in una serata di aver uccisi loro le bimbe, raccontando tutti i particolari”.

    Sul posto c’erano un barattolo di sangue e un mozzicone di sigarette “reperti oggi spariti e si sarebbero potuti fare esami del dna”. “Siamo costretti a dire che la camorra ci ha assolti. Quando siamo stati condannati loro si sono riuniuti e hanno deciso di non ucciderci perche’ eravamo innocenti”, sottolineano.

     Massacro di Ponticelli, per la camorra sono innocenti

    Citano su questo un incontro con il boss Ciro Sarno, capo del rione Ponticelli, e un messaggio di Raffaele Cutolo: “Ci dissero che eravamo innocenti e per questo nessuno mai ci toccò”. Adesso i tre hanno 60 anni e provano a ricostruire la loro vita passo dopo passo con estrema sofferenza “grazie ai permessi accordati per buona condotta”.

    Erano un fabbro, un muratore e un aspirante finanziere, vite distrutte. A fine udienza l’amara considerazione: “Se tornassimo indietro sceglieremmo la morte. Ed e’ la prima volta che qualcuno ci ascolti in 40 anni di sofferenze”.


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