Maxi frode fiscale nel settore dei metalli ferrosi: fatture false da 30 milioni di euro

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Maxi frode fiscale nel settore dei metalli ferrosi: fatture false da 30 milioni di euro. L’inchiesta coinvolge 29 aziende

In data odierna, i finanzieri del Comando Provinciale di Caserta, hanno eseguito un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali e reali emessa, su richiesta di questo Ufficio, dal GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nei confronti di due imprenditori della provincia di Napoli (P.M. classe ’61 e E.M. classe ’56, entrambi sottoposti agli arresti domiciliaci) e di una fitta rete di aziende (ben 29 tra ditte individuali e società) operanti in diversi regioni del territorio nazionale, in quanto ritenuti coinvolti, a vario titolo, in una maxi frode fiscale nel settore dei metalli ferrosi.

Il provvedimento compendia gli esiti di una complessa indagine di polizia giudiziaria svolta dai militari della Compagnia di Capua sotto la direzione di magistrati di questa Procura della Repubblica i quali hanno individuato e compiutamente delineato una struttura associativa dedita all’emissione e all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti che, in soli cinque anni, era riuscita a realizzare un giro d’affari illecito di oltre 30 milioni di euro.

L’operazione, denominata “Golden Metal”, ha avuto origine nel 2018, a seguito di un controllo fiscale effettuato dai finanzieri nei confronti di una società con sede in Pontelatone (CE) e attiva nel commercio all’ingrosso di metalli ferrosi, nel cui ambito si era potuto accertare che la stessa fungeva da vera e propria “cartiera” a disposizione dell’intera organizzazione, attestando falsamente la vendita di grossi quantitativi di merce a favore di numerose aziende compiacenti.



    Grazie, infatti, a mirate intercettazioni telefoniche e ad approfonditi accertamenti economico-finanziari è stato possibile accertare come i titolari di queste aziende fossero consapevoli della falsità delle operazioni commerciali documentate nelle fatture emesse dalla società casertana, il cui utilizzo serviva unicamente a frodare il fisco attraverso la contabilizzazione di costi in realtà mai sostenuti. In particolare, le aziende destinatarie pagavano regolarmente i relativi corrispettivi mediante bonifici bancari diretti alla società “cartiera” la quale, una volta ricevute le somme sui propri conti correnti, procedeva a prelevarle in contanti e, dopo aver trattenuto una percentuale a titolo di compenso per il “servizio” reso (tra il 4 e il 10% dell’importo indicato in fattura), trasferiva la restante parte agli imprenditori che avevano disposto i bonifici iniziali.

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