Napoli, gli Esposito si difendono: ‘Non siamo i prestanome di nessuno’

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“Il nostro patrimonio non è il frutto di affari illeciti e non è stata mai commessa alcuna fitti-zia intestazione di beni per favorire la camorra”, dichiarazioni spontanee quasi similari quelli dei tre fratelli Gabriele, Giuseppe e Francesco Esposito e delle mogli dei primi due ovvero Teresa Esposito che Carmela Russo, tutti arrestati  tre giorni fa insieme con Diego La Monica per intestazione fittizia di beni e legami con il potente clan Contini. Hanno questi respinto le accuse nell’interrogatorio di garanzia davanti al gip. I fratelli Esposito, assistiti dall’avvocato Roberto Saccomanno (Gabriele è difeso anche da Domenico Dello Iacono), hanno respinto tutte le accuse della Dda. Al centro dell’inchiesta c’è la discoteca Club Partenopeo di via Coroglio, formalmente intestata a Diego la Monica frequentata da vip  e dalla quasi totalità dei calciatori del Napoli. Dopo gli arresti e le scarcerazioni dello scorso giugno l’inchiesta sull’arricchimento dei fratelli Esposito è andata avanti grazie anche alle dichiarazioni del killer pentito Salvatore Maggio raggiunto lo scorso anno da un’ordinanza nella stessa inchiesta e che aveva messo sotto estorsione un’agenzia di scommesse in piazza Mercato sempre riconducibile agli Esposito. Gabriele  reduce da una condanna in primo grado per associazione per delinquere di stampo mafioso, ha sostenuto che, proprio a causa di quel verdetto, si è trovato costretto a far fronte a una “lunga serie di problemi di natura amministrativa”, e che nonostante ciò mai si sarebbe “sognato di fare interposizione fittizia per agevolare la camorra”. Francesco ha sostenuto di non avere “nulla a che vedere con questa vicenda”. Giuseppe ha invece spiegato di essere sì un imprenditore, ma di “svolgere in proprio l’attività di manager”. Dello stesso tenore le dichiarazioni delle mogli.  Sia Teresa Esposito che Carmela Russo, rispettivamente consorti di Gabriele e Giuseppe, hanno negato gli addebiti e poi hanno spiegato al giudice che  i beni in questione sarebbero effettivamente i loro e che, dunque, non avrebbero fatto alcun ricorso a operazioni di intestazione fittizia. Quanto ai soldi impiegati nei business di famiglia – gli Esposito operano anche nel commercio dei giocattoli – le donne hanno sostenuto che quel denaro è sempre stato di “provenienza lecita, dal momento che non siamo i prestanome di nessuno”.

 


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