Qatargate, Cozzolino resta in carcere a Bruxelles

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L’eurodeputato napoletano Andrea Cozzolino. ascoltato per la seconda volta dagli inquirenti dopo una notte passata in carcere.

E, alla fine, trattenuto per altre ventiquattro ore. La decisione di relegarlo a una detenzione preventiva dai contorni incerti oppure concedergli la libertà è ora tutta nelle mani della nuova procuratrice Aurélie Dejaiffe, meno nota del celebre predecessore ma dietro le quinte dell’inchiesta sin dai suoi albori.

E dalla quale nessuno nei palazzi delle istituzioni Ue sa cosa aspettarsi. Il nuovo faccia a faccia tra Cozzolino e la polizia federale è ripartito dagli elementi ancora da “chiarire”, nella visione della procura, della testimonianza offerta lunedì dall’eurodeputato sospettato di aver preso parte alla rete di corruzione tra Bruxelles, Doha e Rabat per orientare le politiche comunitarie.

    Una versione resa nella capitale belga, dopo oltre quattro mesi passati ai domiciliari a Napoli, che non aveva convinto Claise.

    E che la polizia giudiziaria è tornata a esaminare. L’eurodeputato, messo sotto torchio dagli inquirenti, “ha risposto a tutte le domande”, hanno poi fatto sapere i suoi legali, Federico Conte, Dezio Ferraro e Dimitri de Beco. Restando tuttavia in attesa di un altro giro di giostra con il nuovo giudice.

    E, alla voce Andrea Cozzolino, nel faldone ricevuto in eredità da Claise la procuratrice ritrova i verbali dell’ex europarlamentare pentito Pier Antonio Panzeri – artefice del presunto giro di mazzette con il Qatar e il Marocco insieme al suo braccio destro Francesco Giorgi, anch’egli reo confesso -, e gli ormai tre noti capi d’accusa: corruzione, riciclaggio e associazione criminale. Senza però alcun addebito concreto nella gestione del flusso di denaro.

    Soltanto una “complicità” indiretta. Ancora tutta da chiarire da parte degli inquirenti. Fuori dalle stanze della procura a tenere banco su tutte le televisioni nazionali, negli ambienti investigativi e in quelli parlamentari, è però il coup de théâtre di Claise, indiscusso protagonista delle indagini sin dal loro declassamento da parte dei servizi segreti.

    Il potenziale conflitto d’interessi che è emerso nelle ultime ore, legato al business di vendita di cannabis legale che il figlio Nicolas ha messo in piedi con il figlio dell’eurodeputata Maria Arena – accostata a più riprese all’inchiesta ma mai interrogata dallo stesso magistrato belga – è stato un colpo per la sua immagine.

    Finita già sotto il fuoco incrociato delle critiche per la mano pesante usata con i sospettati e per la sua convinzione espressa pubblicamente che fosse necessario “puntare la pistola alle tempie” degli indagati per farli confessare.

    Frasi sulle quali ora sono gli stessi accusati – provati da mesi in carcere nella morsa della detenzione preventiva prima del rilascio nelle scorse settimane – a rivalersi.

    La convinzione della parzialità del giudice, espressa dai difensori di Kaili e dell’eurodeputato Marc Tarabella, è tutta racchiusa nel filo personale che collega Claise a Maria Arena, a sua volta molto legata al pentito Panzeri.

    Quel conflitto d’interessi – è la denuncia del legale del socialista belga – è stato insabbiato sin dall’inizio. E, nelle parole degli avvocati di Kaili, altro non è che “una deliberata omissione” che dovrebbe essere “indagata”.

    Un’altra grana che finisce tutta sulle spalle del nuovo giudice.



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