Coronavirus, italiano a Wuhan: ‘Restare a casa. Non ci sono alternative’

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“Leggo sui siti che in Italia si parla di sport in villa oppure vicino casa… Qui dal 23 gennaio tutte le attivita’ lavorative sono chiuse, tranne quelle essenziali per l’emergenza. I mezzi di trasporti sono chiusi. Da meta’ febbraio non si puo’ uscire di casa. Possiamo andare al piano terra a prelevare le consegne a domicilio, niente di piu’. C’e’ un regime strettissimo che ha dato dei risultati buoni. Qui a Wuhan non abbiamo piu’ casi, ma tutto il resto della Cina non ha mai avuto una vera emergenza. Sono riusciti a contenere la diffusione del virus. Tutto il Paese si e’ chiuso dentro”. Lorenzo Mastrotto e’ un manager vicentino – moglie cinese e due bambini – che dal 2006 vive a Wuhan, a duecento metri dal mercato della metropoli focolaio del coronavirus. “Qui gli italiani rimasti sono una decina. Il fatto e’ – osserva parlando con l’AGI – che qui c’e’ una sensibilita’ diversa rispetto all’Europa dove il problema magari e’ qualcosa di nuovo e la gente non si rende conto della situazione”. “In Italia occorre che tutti lo capiscano – insiste -: non ci sono altre possibilita’, occorre stare a casa. Molti sono gli asintomatici, il virus si puo’ trasmettere senza che nessuno se ne renda conto e circola velocemente. Il problema e’ legato alla diffusione e ha messo in crisi anche il sistema sanitario di Wuhan”. “Tutti i Paesi hanno avuto quasi un mese per prepararsi – rimarca ancora il manager vicentino -. Eppure c’e’ ancora chi e’ indeciso sul da farsi. Qui non possiamo uscire per nulla. Tutti i negozi sono chiusi. Girano solo le persone autorizzate. Viviamo separati. I suoceri non li vediamo da due mesi. I miei figli fanno lezione on line. La situazione economica e’ drammatica ma noi vediamo la fine del tunnel, anche se non so quando tornero’ in ufficio e quando i miei figli torneranno a scuola. Non sappiamo quando i mezzi di trasporti riapriranno, quando l’aeroporto tornera’ ad essere funzionante. E’ una situazione surreale ma il contagio e’ stato fermato”.

“A dicembre – racconta Lorenzo – ci dissero di un virus in circolazione ma la situazione fu sotto stimata per un po’ di tempo. Prima eravamo visti come il lazzaretto del mondo ma noi qui dal 23 gennaio siamo in casa”. Lorenzo ha seguito tutta la vicenda italiana, nelle settimane scorse si e’ collegato anche con alcune trasmissioni tv. “Vedo che in tutti i Paesi, dall’Italia alla Gran Bretagna, si e’ perso del tempo. Qui hanno chiuso tutto subito. Ora la vita e’ ripartita: soprattutto nel sud della Cina e a Hong Hong la situazione e’ tornata normale, a Pechino ci sono ancora molte cautele, i ristoranti sono ancora chiusi ma piano piano la morsa si allenta”. Anche grazie alla possibilita’ di poter distinguere, grazie agli strumenti a disposizione, chi era malato e chi era sano. “In Cina – riferisce – stanno usando molti codici con i quali risalgono a tutti i tuoi spostamenti. Tutti vengono scannerizzati. La Corea a meta’ febbraio ha adottato un sistema ad hoc, eliminando la privacy e monitorando i movimenti delle persone che potevano essere state coinvolte dal focolaio e facendo il tampone in maniera mirata”. Le mascherine? “Qui in Cina e’ un obbligo ma serve soprattutto per chi e’ ammalato, si evita che cosi’ si propaghi il virus. Siamo abituati da tempo, gia’ per una normale influenza, ad utilizzarle per evitare di infettare le persone vicine. Nella scuola di mio figlio a dicembre, solo per alcuni casi di influenza, hanno chiuso la classe per tre giorni per evitare che l’epidemia influenzale si propagasse. Le mascherine che usiamo sono quelle chirurgiche, ma non sono sufficienti per i dottori. Qui il personale medico pero’ e’ ben protetto: una tuta, la mascherina professionale e occhiali adatti. Tutti in sicurezza”. “Fino a meta’ febbraio – ricorda ancora Lorenzo – potevamo fare la spesa, poi hanno chiuso i supermercati. Possiamo avere il cibo con consegna a domicilio. Il sistema delle applicazioni e’ evoluto. I negozi rimangono aperti per i volontari”. “La gente – conclude Lorenzo – deve rimanere a casa perche’ il problema sono gli ospedali che possono diventare dei focolai. Assisto a quello che sta succedendo in Italia e sono preoccupato. Occorre stare a casa, non ci sono alternative. Tutti devono capirlo”.



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