Monsignor Battaglia presenta il Patto educativo per Napoli

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Il patto educativo per Napoli è stato presentato ieri dal vescovo Don Mimmo Battaglia che ha incontrato nel Duomo tutti coloro che hanno aderito al suo appello.

L’appello lanciato nei giorni scorsi dall’Arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, attesa l’urgente necessità di un Patto Educativo per l’area metropolitana di Napoli , è stato accolto con attenzione e favore tanto che si è avuta l’adesione di numerose istituzioni, realtà ecclesiali, enti del terzo settore e del volontariato, del mondo della scuola e della società civile.

Particolarmente significativa è stata la risposta positiva del Presidente della Regione, Vincenzo De Luca, del Sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi e del Prefetto di Napoli, Claudio Palomba, i quali hanno manifestato vivo interesse per l’iniziativa e volontà di creare una rinnovata rete che con spirito sinergico, solidale e comunitario, possa adoperarsi per il bene dei figli più piccoli e giovani della città di Napoli.



    Con tale premessa e per iniziare un opportuno cammino comunitario, l’Arcivescovo ha incontrato tutti coloro che hanno aderito. Don Mimmo ha presentato alcune proposte concrete, confrontandosi con le autorità presenti. La scelta di mettere a disposizione il Duomo per quest’incontro non liturgico né strettamente pastorale testimonia il convincimento dell’Arcivescovo e della Chiesa napoletana che i bambini, i ragazzi e i giovani di Napoli sono il bene più sacro della città, il suo tesoro più prezioso, le fondamenta su cui edificare il presente e il futuro dell’intera comunità cittadina.

    Discorso nel primo incontro con gli aderenti al Patto Educativo

    “Carissimi amici ed amiche, ringrazio vivamente ciascuno di voi per essere qui, quest’oggi, nella chiesa cattedrale di Napoli.

    Qualcuno potrebbe pensare: ma perché un Vescovo mette a disposizione la cattedrale per un momento non liturgico e neanche di preghiera o spiritualità? Come gli viene in mente? Me lo sono chiesto anche io, nel tentativo di capire l’impulso del cuore che mi diceva che questo processo comunitario del Patto Educativo dovesse iniziare proprio qui, in questa chiesa tanto cara al popolo partenopeo, custode di reliquie che sanno di storia, di fede, di arcano, come l’ampolla del sangue, quella del santo patrono Gennaro.

    La risposta è sorta immediata, semplice e chiara: era necessario incontrarci qui perché i bambini, i ragazzi e i giovani sono la cosa più sacra di Napoli, una reliquia del suo futuro, il germoglio del suo presente, il bene più importante! Un noto motto dice che “se uno sogna da solo è solo un sogno, ma se molti sognano insieme è l’inizio di una nuova realtà”.

    Per questo sono felice per la vostra presenza di oggi: il vostro esserci, questo pomeriggio, testimonia che non sto sognando da solo, che il Patto Educativo non è semplicemente frutto di un’idea del Vescovo o della Chiesa, ma è molto di più: una necessità, un’urgenza, un percorso condiviso da tanti sognatori che nel mettersi insieme, indipendentemente dai mondi di provenienza e dalle differenze culturali, decidono di dar vita ad un sogno comune. Ma il nostro essere insieme è anche molto di più, perché nel decidere di camminare l’uno con l’altro per il bene dei piccoli, superiamo i recinti del sogno e ci ritroviamo ad essere segno, segno concreto di attenzione alle giovani generazioni, segno di responsabilità nei loro riguardi, segno capace di aggregare altri sognatori in questo camino comune che ha come obbiettivo il bene dei nostri ragazzi.

    Per questo ringrazio gli Assessori Regionali Mario Morcone e Lucia Fortini, il Sindaco Gaetano Manfredi, il signor Prefetto di Napoli, e tutte le autorità convenute per essere qui, a sognare con noi e a decidere di passare dal sogno al segno. E ringrazio anche il mio confratello Vescovo Carlo Villano, ausiliare di Pozzuoli, nel cui territorio ricadono alcuni quartieri di Napoli, per aver aderito con convinzione al Patto Educativo, insieme alla sua Chiesa!

    Il percorso che oggi inizia non vuole essere il cammino solitario di una realtà, foss’anche la Chiesa, ma un processo fatto di incontri inclusivi, di reciproche contaminazioni, di continui confronti tra istituzioni, realtà ecclesiali, mondo della scuola, università, enti del terzo settore, associazioni e società civile affinché i bambini, i ragazzi e i giovani di Napoli possano essere rimessi al centro delle politiche educative e del dibattito cittadino. È giunto il tempo della responsabilità costruttiva e per questo ora più che mai serve un patto educativo capace di generare una cultura dell’inclusione, affinché nessuno sia lasciato indietro, né oggi né mai.

    La scia di sangue che ha attraversato la città, procurando la morte a delle giovani vite e terrore e angoscia a interi quartieri, strade, famiglie, non può lasciarci indifferenti e inermi ad attendere chi sa cosa: ognuno deve sentirsi interpellato dal grido della città, ognuno deve dare il proprio contributo alla vita della comunità, ognuno deve essere per le nuove generazioni un segno di speranza e di resurrezione, a partire dal proprio ambito, dovere, ruolo.

    Dobbiamo guardare in faccia, con coraggio, le tante fatiche e ferite della nostra comunità, iniziando dalle periferie esistenziali, da quelle non legate cioè esclusivamente alla geografia ma alla condizione sociale. La periferia infatti è un contesto in cui sono povere le relazioni solidali, scarsi i servizi, inadeguata la cura dei beni comuni, escludente la narrazione che si realizza nella scena pubblica. Il complesso di queste condizioni rappresenta lo stato di povertà ed emarginazione cui si aggiunge la convivenza con vaste zone di illegalità, delinquenza, crimine organizzato. L’insieme di queste condizioni non è riconducibile alla sola povertà economica ma anche alla condizione di esclusione sociale e culturale.

    Se la lotta alla povertà assoluta riguarda i responsabili delle politiche economiche e lavorative, la lotta all’emarginazione è un problema eminentemente culturale ed educativo e comporta l’impegno di intere comunità per colmare quel divario tra le condizioni di emarginazione ed una vita civile accettabile.

    L’obiettivo specifico del Patto Educativo deve essere quello di promuovere quelle forme di accompagnamento, cura e partecipazione di ragazzi e giovani e delle loro famiglie, adeguate a contrastare il degrado umano conseguente alla condizione di emarginazione sociale e povertà economica e morale. Ed è necessario che nelle situazioni più delicate e multiproblematiche le famiglie siano affiancate nella cura educativa da persone appassionate, formate, esperte di relazione, corresponsabilità e capaci di coinvolgimento.

    Si, amici, non possiamo più voltarci dall’altra parte. Non possiamo passeggiare per la nostra Napoli, incontrare i volti di tanti bambini abbandonati a sé stessi e passare oltre, come se non fossero figli nostri, come se la loro cura non dipendesse anche da noi.

    Non vi nascondo che ho iniziato ad avvertire la necessità di questo Patto proprio all’inizio del mio servizio di Vescovo qui a Napoli. Un pomeriggio mentre percorrevo a piedi via Duomo, ho incontrato alcuni ragazzini che giocavano con delle pistole finte. Ma ciò che mi ha impressionato non è il gioco in sé ma l’imitazione realistica del linguaggio e dello stile camorristico, tale da lasciar intravedere che quella cultura non era loro estranea ma in qualche modo la respiravano, la assorbivano, probabilmente senza degli adulti capaci di essere per loro filtri sani, utili a preservarli dal male orientandoli verso il bene.

    E da quel giorno quanti volti di bimbi, ragazzi, giovani ho incontrato! Storie ferite, ali spezzate prima ancora di spiccare il volo, vite segnate dall’assenza di un mondo adulto sano e accudente: non possiamo andare avanti così! Serve un cambiamento ed è per questo che desidero offrire alcune proposte intorno alle quali – spero – possa nascere un confronto tra tutti coloro che hanno risposto al mio appello di qualche mese fa.

    Ripartire dall’etica della cooperazione. Tante volte e in ambiti diversi mi capita di sottolineare l’importanza di un passaggio capace di eliminare l’idolatria dell’individualismo per abbracciare un rinnovato senso di comunità, passando dall’io al noi. Senza questo passaggio ogni altra iniziativa o proposta sarà inutile. Anche i fondi del PNR destinati all’educazione e alla scuola, senza un’etica della cooperazione, della valorizzazione reciproca, dell’aiuto solidale rischieranno di diventare una manna lasciata marcire per terra. Senza risvolti efficaci e reali per i nostri ragazzi. Paradossalmente la prima proposta che vi presento è proprio questa: dare vita al Patto, scegliere di non fare da soli senza gli altri, creare rete e sistema, superare le logiche clientelari per dar vita ad una comunità educante fondata sull’etica della cura e della responsabilità.

    Costituire in ogni municipalità o territorio un Tavolo Educativo volto a creare e consolidare legami di collaborazione e confronto tra Scuola, Servizi Sociali Comunali, Parrocchie, Enti, Fondazioni, Cooperative e ogni altro ente impegnato nel mondo dell’educazione e dell’inclusione sociale. Il Tavolo Educativo diventa un vero e proprio laboratorio di co-programmazione e co-progettazione e rende concreto e realizzabile un nuovo approccio alle problematiche e al tema della povertà educativa, che può essere vincente solo se sistemico, sinergico e corresponsabile.

    Costituire una Agenzia per lo sviluppo delle pratiche educative inclusive che possa occuparsi di mappare, coordinare e monitorare i progetti educativi attivi in tutti i territori, attivando la costruzione di “comunità educanti” e di un contesto educativo diffuso, che sappia riconoscere e intrecciare gli apprendimenti formali con quelli non formali per realizzare interventi formativi complessi. Per far questo è necessario creare un gruppo di lavoro per la valutazione di impatto sociale in grado di misurare l’efficacia dei processi innescati e definire la cartografia delle povertà educative.

    Affidare all’ Agenzia per lo sviluppo delle pratiche educative inclusive la costruzione di un sistema digitale capace di monitorare la dispersione scolastica in tempo reale e di intervenire immediatamente nel momento stesso in cui la vita di un minore si immerge nell’invisibilità. Tale intervento richiede una programmazione integrata dei servizi e delle politiche educative.

    Valorizzare la scuola non solo come luogo di apprendimento, ma come laboratorio sociale e comunità educativa partecipante, che attraverso una fitta rete di rapporti con il territorio possa ampliare e migliorare la propria offerta formativa. Valorizzando le numerose esperienze educative del terzo settore, del mondo ecclesiale, dello sport, la scuola può divenire un importante crocevia di connessioni, volte a creare una fitta rete educativa, un “sistema” di cura capace di contrastare a livello preventivo “o sistema” della camorra.

    Diversificare e individualizzare i progetti e le azioni educative, facendo in modo che ogni proposta, ogni spazio, ogni progetto (di inclusione, di accompagnamento, di promozione, di reinserimento) nell’ambito della cura educativa, sia sempre più pensato sulla base delle persone che abitano quel territorio e del suo peculiare contesto economico, sociale e culturale.

    Investire su specifici processi di formazione degli educatori per implementare le competenze relazionali e pedagogiche, dando vita anche a nuovi profili professionali di educatori e docenti in grado di sviluppare il lavoro educativo in situazioni difficili e complesse anche attraverso la promozione di nuove metodologie educative che superino quelle tradizionali. In particolare è importante che chi si prende cura sia capace di prossimità e di ascolto, di una relazionalità sana e di un’intenzionalità che riconosca ragazzi, adolescenti e giovani come protagonisti dell’oggi, capaci di contribuire all’arricchimento della comunità tutta.

    Cari amici, come ho detto più volte, sotto la croce della nostra città dobbiamo più che mai quest’oggi, insieme e senza distinzione di fede, politica, ruolo sociale ed istituzionale, stare in piedi, evitando di sdraiarci supini in attesa che qualcosa cambi da sola e di sederci, rassegnati e assuefatti a veder morire Napoli!

    Dobbiamo ricordare che il presente e il futuro della nostra città dipende dall’impegno di tutti, dalla capacità che avremo di passare da un freddo individualismo ad un senso rinnovato e caloroso di comunità, dal desiderio fattivo di trasformare tanti piccoli “io” impauriti e distratti nella forza di un grande “noi”, la cui carica profetica può essere segno e strumento di una possibile resurrezione della nostra terra!

    Il tempo storico che viviamo, ricco di opportunità e rischi, nella sua complessità ci chiede di concretizzare al più presto il Patto Educativo per la Città! Non è più il tempo delle promesse sterili, delle firme facili, degli slogan e degli eventi fini a se stessi. I bambini, i ragazzi e i giovani di Napoli non possono più aspettare: non può aspettare Ciro, nato in un carcere da una madre detenuta e poi lasciato a degli zii che lo hanno abbandonato al suo destino solitario; non può aspettare Rosa, figlia di due genitori maltrattanti e abusanti che vive da anni in una comunità sognando una famiglia; non può aspettare Armando che dalla cella di un carcere si riguarda indietro chiedendosi come mai nessun adulto lo abbia salvato quando iniziava a muovere i primi passi tra gli spacciatori sotto casa; non può aspettare Genny che sogna di non dover lasciare la sua terra per paesi lontani e che chiede a tutti noi la possibilità di essere parte attiva del cambiamento e della rinascita della nostra città.

    Per questo non possiamo stare a guardare dalla finestra: ognuno si senta interpellato dal grido della città, ognuno dia il proprio contributo alla vita della comunità, ognuno sia per le nuove generazioni un segno di resurrezione, camminando insieme al fiume di vita e di speranza che non ha mai smesso di attraversare Napoli e la cui pacifica esondazione potrebbe lavare il sangue versato e fecondare nuove primavere sociali! È questo il tempo! Nel bel mezzo di questo inverno lasciamo fiorire la speranza e con il nostro impegno affrettiamo la primavera!”.

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