Camorra, scarcerata la moglie del boss Buonerba: pativa la mancanza di acqua in carcere

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Camorra: è stata scarcerata perche’ “per 1.602 giorni la detenuta ha patito la carenza dell’acqua potabile”.

La motivazione e’ del magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere nell’ordinanza con la quale ha disposto una riduzione di pena e la scarcerazione di Emilia Sibillo, che e’ la moglie del boss Giuseppe Buonerba dei clan dei ‘capelloni’ del quartiere napoletano di Forcella.

Nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove la donna stava scontando una pena a 8 anni per 416 bis dopo essere stata arrestata nel luglio 2017, manca l’allaccio alla rete idrica e l’acqua viene prelevata da due pozzi artesiani per poi essere potabilizzata.

Il giudice ha accolto l’istanza presentata dal legale di Emilia Sibillo, l’avvocato Sergio Simpatico, per il quale “finalmente in Italia si fanno valere i diritti umani anche per i detenuti. Con questa ordinanza – conclude – non possiamo sentirci piu’ l’ultima ruota del carro”. Il giudice ha ridotto di 160 giorni la pena da espiare e concesso anche un indennizzo di 16 euro in totale.

In base al ricalcolo, Emilia Sibillo, avrebbe dovuto essere scarcerata circa un mese e mezzo fa. La “grave mancanza di acqua potabile nell’Istituto di Santa Maria Capua Vetere”, peraltro gia’ sottolineata in piu’ occasioni da diverse istituzioni, e’ stata evidenziata lo scorso 21 febbraio nell’istanza con cui e’ stato anche ricordato che il carcere vive “in una situazione di sovraffollamento”.

    In sostanza, e’ la tesi dell’avvocato, accolta dal giudice, tutto questo “comporta un aumento esponenziale del trattamento inumano e degradante, che diventa esagerato, con grave nocumento per la salute, minata dalla carenza di igiene senza acqua”.

    La scorsa settimana i giudici della quarta sezione della Corte di Appello di Napoli (presidente Roberto Vescia), avevano accolto la tesi dell’avvocato difensore riducendo da 30 a 20 anni di reclusione la pena inflitta nei confronti di Emilia Sibillo, condannata per l’omicidio di Salvatore D’Alpino, ritenuto legato ad Antonio Napoletano detto “o’ nannone” del clan Sibillo, de “La paranza dei bambini”.



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