Arzano, revoca beni confiscati alla camorra, il comune non si costituisce in giudizio

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Arzano, revoca beni confiscati alla camorra, il comune non si costituisce in giudizio e perde la causa.

Revoca beni confiscati alla camorra, il comune non si costituisce in giudizio e perde la causa. Occhi puntati di commissione Antimafia e magistratura.

Una vicenda “oscura”, anomala che sicuramente aprirà una seria verifica all’interno della maggioranza della sindaca Cinzia Aruta smentita nel merito dall’ordinanza del Tar Campania che ha di fatto sospeso lo sgombero del bene confiscato in via Pecchia e affidato nel 2019 dall’amministrazione Esposito (sciolta per camorra) all’associazione “Donna Matilde Serao”.

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È stata uno scivolone della “politica” o dell’ufficio legale sempre poco attento? In quanto così facendo l’ente di piazza Cimmino ha di fatto smentito se stesso, e soprattutto gli indirizzi politici degli assessori Giuseppe Vitagliano ( beni confiscati), Fabio Gallo (area Legale), Ernesto Pollice (Personale) e soprattutto il nuovo dirigente dell’area Amministrativa Francesco Annunziata che era già incorso mesi fa nella tardiva costituzione di parte civile (e solo dopo alcuni articolo di giornale) in sede di giudizio relativamente alla vertenza che vede sul banco degli imputati imprenditori, tecnici e l’ex dirigente dell’urbanistica per una vicenda di falsi titoli edilizi.

Al di là di quello che sarà poi il giudizio di merito del Tar, l’amministrazione Aruta non ne esce bene da questa vicenda, la cui complessiva gestione resta uno dei punti “caldi” sotto monitoraggio prefettizio. Affidamenti dei beni che, secondo quanto riportato nel DPR pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 2019, aveva visto la quasi totalità degli stessi di proprietà di un esponente di spicco del clan Licciardi condannato in via definitiva per associazione a delinquere di stampo mafioso e in stretti rapporti con un amministratore locale uomo di punta dell’ex prima cittadina sciolta.

Una gestione, quella dei beni, regolamentata dalle stringenti norme approvate dai commissari prefettizi dopo lo scioglimento per camorra nel 2015. Proprio l’affidamento, la successiva apertura nonché la gestione di alcune di queste strutture, aveva attirato le attenzioni della Procura della Repubblica della Prefettura.

A finire nel mirino dei controlli municipali voluti dall’assessore Vitagliano, i lavori di ristrutturazione che avrebbero dovuto propedeuticamente partire entro 60 giorni dall’assegnazione dei beni con il deposito di un progetto esecutivo di adeguamento al settore Pianificazione e gestione del territorio con la conseguente istruttoria e l’avallo del consiglio comunale; l’obbligo a trasmettere l’elenco soci, i bilanci, la comunicazione delle attività svolte e del conseguente materiale divulgativo, la polizza assicurativa, i nomi di amministratori, volontari e personale impiegato a qualunque titolo nelle attività delle associazioni.

Senza contare la tracciabilità dei fondi impiegati e il certificato Antimafia delle ditte appaltatrici eventualmente incaricate dei lavori. Tutti controlli che avrebbero dato esito negativo.

Insomma, l’amministrazione comunale potrebbe a questo punto aprire un inchiesta interna e capire perché, compreso le carenti costituzioni contro alcuni vigili urbani condannati e mai fatti oggetto di procedimenti disciplinari, l’ufficio legale e area Amministrativa hanno “dimenticato” di costituirsi in giudizio. In molti adombrano anche un possibile siluramento.

Luigi Vanacore


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