Coronavirus, l’immunologo: ‘Trovato anticorpo da usare come terapia’

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“Questo virus ancora non ci dice con certezza se sviluppa anticorpi di protezione o meno. Dobbiamo essere molto cauti sull’interpretazione di questi test sierologici.

Certo è che ci sono dei progressi importantissimi, come per esempio l’anticorpo chimera, il cui nome tecnico è 47d11, un anticorpo un pò particolare che ci dice essere sicuramente neutralizzante. Questa è una notizia importante. L’università di Utrecht, in Olanda, ha pubblicato su Nature, di aver sviluppato un anticorpo monoclonale. Un anticorpo fatto in laboratorio, che si può riprodurre continuativamente”. Lo ha detto il professor Francesco Le Foche, immunologo clinico, intervenendo ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format “I Lunatici”.

“Questo anticorpo – chiarisce Le Foche – si lega all’arpione del virus e non permette all’arpione del virus di agganciare la cellula. E’ un anticorpo neutralizzante che non è un vaccino. Si chiama immunoterapia passiva. Oggi si parla molto del plasma, questa è una cosa simile, ma fatta in laboratorio e con gli anticorpi selettivi, che funzionano. Insomma, è stato trovato un anticorpo che potrebbe essere utilizzato per una terapia. Non è una cosa immediata, ma un progresso fondamentale perché può essere utilizzato come anticorpo neutralizzante ed essere attivo su questo virus, perché è specifico. Questo anticorpo era già stato studiato per la sars, si è visto che questo studio è stato messo in campo già all’epoca. Poi non e’ stato utilizzato – spiega ancora l’immunologo – perché la sars nel luglio del 2003 se ne è andata completamente. Probabilmente succederà anche con il covid 19. Spero non si utilizzi mai questo anticorpo, ma è un ausilio fondamentale. Il coronavirus sembra comunque ridurre la sua potenza virologica e dare delle sindromi meno gravi”.

A proposito della lotta al Covid-19, il professor Le Foche ha detto che “stiamo andando abbastanza bene. Abbiamo iniziato la fase 2, siamo nel secondo tempo di una partita. Nel primo tempo questo virus che si è presentato improvvisamente ha creato una pressione significativa sul nostro sistema sanitario nazionale, soprattutto in Lombardia, dove non c’è stato un territorio che ha ammortizzato un pò questa pressione. C’è stata una gestione ospedalocentrica della terapia e questo ha portato a una defaillance del sistema stesso, ma la situazione da affrontare era difficilissima. Comprendo i colleghi e tutte le strutture messe in campo in Lombardia, non sapevamo che portata avesse questa pandemia. Oggi vediamo delle sindromi meno importanti dal punto di vista clinico. Questo potrebbe essere dato da una riduzione della virulenza del virus. Io sono un clinico, sul campo vedo delle sindromi meno aggressive. E come me, sul campo, lo hanno visto altri colleghi. Come il prof.Bassetti o il prof.Muzzi, persone di alto profilo che hanno interpretato anche loro questa riduzione di casi clinici importanti. Riserviamo la terapia intensiva a casi rarissimi, nel resto dei casi ci troviamo davanti a delle sindromi meno aggressive”, ha concluso l’immunologo.


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