Il figlio di Escobar di scena a Roma: ‘Perche’ la storia non si ripeta’, sulla vita del padre

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“Perche’ non si ripeta piu'” una catena di sangue e di violenza, come quella innescata da Pablo Escobar. Se lo augura Juan Pablo, che ha poi cambiato nome in Sebastian Marroquin, ed e’ il figlio del narcotrafficante piu’ famoso e sanguinario della storia. Il 40enne, che ora fa l’architetto e vive in Argentina, ha deciso di mandare in scena uno spettacolo per raccontare la verita’ su suo padre e per sensibilizzare il grande pubblico sul ruolo e sul significato che Escobar ha avuto non solo per la Colombia ma per il mondo intero. Quella di venerdi’ 21 settembre sara’ una ‘prima’ europea, dopo un breve tour in India e Nepal, e si svolgera’ a Roma, al teatro Brancaccio (l’evento e’ organizzato e prodotto da Youry Pastore Corrado). Sebastian, in un racconto accompagnato da immagini che scorrono sullo schermo mentre la sua voce si rivolge al pubblico, lancia un messaggio soprattutto alle nuove generazioni: vuole prima di tutto sensibilizzare il grande pubblico sulla vera storia del padre, del quale – protagonista di famosi film, oltre che della fortunatissima serie tv Narcos – e’ stata prodotta, a suo giudizio, un’immagine falsata, quella di un personaggio leggendario, quasi un eroe, un mito, praticamente un’icona, al punto che molti giovani gli hanno scritto negli ultimi tempi parole di ammirazione e di encomio. Ma la storia non e’ andata proprio cosi’. “Vero che mio padre era un genitore affettuoso e molto presente, con me e con mia sorella, pero’ nessuno dimentichi che ha commesso reati di una gravita’ inaudita, e’ stato un uomo che ha messo in pericolo la sua famiglia ed un’intera societa’ ed e’ giusto che si sappia la verita'”, dice all’AGI Sebastian, che ora e’ anche papa’ di un bambino di 5 anni. “Lui sa perfettamente chi era suo nonno”, rivela. “Sa benissimo che era un fanatico degli animali, dello sport e delle automobili”, tant’e’ vero che e’ ormai entrata nella leggenda la prigione dorata di Pablo, da lui stesso costruita, l’Hacienda Napoles, dove nei giardini venivano allevati perfino giraffe ed elefanti oltre a custodire preziosi e opere d’arte (come alcune opere di Botero e una di Salvador Dali’). “Da poco tempo ho iniziato a parlargli anche della violenza che scateno’ suo nonno – spiega Sebastian – ed e’ mia grande responsabilita’, come padre, educare mio figlio a sapere esattamente chi fosse suo nonno proprio perche’ non voglio che nella storia possa ripetersi tutto il male che ha fatto”.

Sta di fatto che essere il figlio di Pablo Escobar, nonostante alla sua morte avesse appena 16 anni e non si fosse macchiato di alcun reato, non e’ stato per niente facile. Proprio recentemente, Sebastian e la madre sono stati accusati di riciclaggio di denaro in quanto, secondo gli inquirenti, avrebbero agito da intermediari per un narcotrafficante. Non sono stati arrestati, il giudice ha disposto il sequestro dei beni per un valore complessivo di circa due milioni di dollari. “Ma l’unico reato che abbiamo commesso – cosi’ risponde a tale accusa – e’ che siamo la famiglia di Pablo Escobar. Se avessimo commesso davvero un reato, saremmo in carcere. E invece io sono stato rinchiuso all’eta’ di 7 anni, e mia sorella ne aveva solo uno, soltanto per essere suoi figli”. All’apice della sua carriera criminale, la rivista Forbes aveva messo Escobar al settimo posto della classifica degli uomini piu’ ricchi del mondo, controllando l’80% della cocaina del mondo, e con un patrimonio stimato in oltre 30 miliardi di dollari. Per costruire questo impero e un’organizzazione composta di flotte di aerei, navi, veicoli costosi e di vasti appezzamenti di terreno, Escobar non risparmio’ nessuno, e in fondo non penso’ mai che cosi’ facendo avrebbe rovinato per sempre la vita della sua famiglia. Ma Sebastian non porta alcun rancore. “Perdonarlo? Nel caso, lo fara’ Dio. A Lui spetta il giudizio finale”, risponde chiamando in causa la sua fede. Proprio per questo, il suo non e’ un desiderio di vendetta, quanto “un messaggio di pace. Io voglio che si sappia chi era Pablo, senza le infrastrutture e le favole che si vedono in Narcos, perche’ nel mondo non ci sia piu’ nessuno capace di fare quello che ha fatto mio padre”. Dopo la morte di Escobar, comunque, il narcotraffico non e’ stato di certo debellato. E per Sebastian, non sara’ mai possibile farlo se non si mettera’ fine al proibizionismo. “Finche’ non verranno legalizzate le droghe, esisteranno i narcotrafficanti. Gli uomini politici credono che proibirli sia la soluzione, ma non lo e’. E loro lo sanno, ma d’altronde e’ anche un grande affare il proibizionismo. E’ molto lucrativo soprattutto per certi oscuri personaggi”.

Sebastian e’ rimasto in contatto con i figli di molte delle vittime del padre. Ad esempio, con Rodrigo, il figlio del ministro della Giustizia Lara Bonillo che venne ucciso in un agguato dai sicari del padre nel 1984: “Ci parliamo quasi tutti i giorni, partecipiamo assieme in conferenze pubbliche sulla necessita’ di pace nel nostro continente”. Ma Rodrigo non e’ l’unico: Sebastian mantiene rapporti anche con i quattro figli di Luis Carlos Galan, il leader del partito liberale assassinato nel 1989, con i figli di alcuni poliziotti, e delle vittime dell’attentato aereo al volo Avianca 203, programmato da Escobar con la speranza di uccidere il candidato per le elezioni del 1990 Cesar Gaviria che pero’ non era salito sull’aereo. “Io sono convinto – rivela Sebastian – che possiamo ricostruire una relazione e dei legami nonostante il dolore e la violenza che abbiamo dovuto subire”. Non tutti pero’ puntano il dito contro Escobar: c’e’ anche chi chiama in causa il suo legame con la popolazione colombiana cui aveva elargito non pochi fondi, sponsorizzando ad esempio squadre di calcio. “Tutto cio’ e’ vero – ammette Sebastian – mio padre ha fatto anche del bene ad alcuni settori della societa’. Ma l’hafatto con denaro sporco di sangue, e noi non possiamo cadere nell’errore di glorificare la sua attivita’ criminale come e’ stato fatto nella serie tv e anche nei film basati sulla sua storia. E’ stato costruito un personaggio fuori dalla realta’, che non e’ mai esistito: lui era un criminale, non un benefattore”. E’ anche vero che Pablo Escobar, agli inizi, intendesse scendere nell’agone politico, ma tutto cio’ tradisce anche un senso di onnipotenza di cui soffriva l’uomo. Per Sebastian, “voler entrare in politica tradi’ una certa sua ingenuita'”. Anzi, per il figlio, e’ stato “il suo piu’ grande errore, strategicamente parlando perche’ per nascondere i propri crimini il posto peggiore e’ farlo proprio nel mondo politico, sotto i riflettori”. Quindi, quel suo tentativo “fatto, secondo me, non per rubare i soldi pubblici come fanno i politici corrotti ma per uno spirito di solidarieta’ col popolo colombiano”, secondo Sebastian, “lo ha messo in condizioni di fare errori peggiori”. E forse questo delirio di onnipotenza forse nascondeva patologie psicologiche nascoste: “Non ho le competenze necessarie per dirlo – dice Sebastian – ma certo, si’, l’ambizione anche eccessiva puo’ essere una patologia”. Ad ogni modo, Sebastian ha come obiettivo solo quello che “tutti i colombiani” e il mondo intero faccia tesoro di quella esperienza. “Noi abbiamo ricordi di violenza ma quello che e’ importante e’ saper trasformare questi ricordi di violenza senza cadere nel gioco della vittimizzazione”. In questo senso, la cosa piu’ importante e’ “affrontare questa storia con dignita’, responsabilita’, con la capacita’ di capire quello che stava succedendo e trovare una strada un percorso verso il perdono, la riconciliazione, cosi’ come ho fatto con i figli delle vittime di mio padre”. E far diventare, questa, una lezione per tutti: “Come ho scritto nel mio libro, nella Storia non dovra’ piu’ esserci un nuovo Pablo Escobar”. E in questo senso, e’ racchiuso il suo messaggio: “La mia grande responsabilita’ e’ fare un uso responsabile del racconto della sua storia per trasmettere l’autentica esperienza di quello che ha fatto e che personalmente mi ha trasformato in un uomo di pace”.


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