Alessia, in coma da 6 anni, la famiglia accusa: ‘Colpa dei ritardi nella defibrillazione’

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Erano le 22.52 del 12 agosto del 2012 quando il tempo per la giovane Alessia Colantuono si è fermato. La ragazza, così come riporta l’edizione odierna del Mattino, allora 14enne giunge in codice rosso al pronto soccorso dell’ospedale Santobono. Arriva in arresto cardiaco. Pochi istanti prima Alessia era in macchina con i suoi genitori quando improvvisamente si è accasciata sul sedile posteriore dell’auto. Iniziò la corsa disperata verso l’ospedale. Dopo le prime cure viene trasferita nella sala di rianimazione, intorno alle 23.10, dopo circa 18 minuti. “La paziente – si legge nel referto – proviene dal pronto soccorso in arresto cardiorespiratorio, accompagnata dall’anestesista di turno, intubata e ventilata manualmente, e dal pediatra di turno. Si monitorizza. Pupille dilatate (midriatiche) non fotoreagenti, polsi non apprezzabili. Si continua la rianimazione. Si inserisce una cannula nella femorale destra e si chiede una consulenza cardiologica urgente. All’elettrocardiogramma c’è una fibrillazione ventricolare e si procede quindi alla defibrillazione elettrica. Di lì a poco la ripresa del ritmo cardiaco e la normalizzazione della pressione”. Alessia da quel momento non si sveglierà più, per troppo tempo il cuore ha smesso di battere senza ossigeno al cervello. Per un mese resterà nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Napoli, per più di un anno alla clinica Maugeri di Telese. Un anno fa, durante una visita cardiologica, il suo cuore è risultato del tutto normale. Emerge, quindi, l’eventualità di un’anomalia nella fase che l’ha accompagnata dall’ingresso al pronto soccorso alla sala di rianimazione. 18 minuti di buio, a far luce sarà la consulenza di un medico legale. Così è partito l’esposto e la denuncia in procura. Le indagini dovranno chiarire se per Alessia è stato fatto tutto il possibile. E le domande sono tante, tutte senza una risposta. Saranno gli inquirenti a cercare di fornire una spiegazione.


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