Dall’Intelligenza artificiale nuova frontiera ‘fake news’

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“La nuova generazione di fake news sara’ prodotta dall’intelligenza artificiale”: l’allarme sull’esplosione dei cosiddetti deep fake, video e audio modificati anche per scopi fraudolenti, viene lanciato da Francesco Marconi, responsabile Ricerca e Sviluppo al Wall Street Journal, in Italia per presentare il suo libro ‘Diventa autore della tua vita’ per Rizzoli, in cui spiega che “siamo noi gli algoritmi piu’ importanti”. Per il Wsj il 32enne italo-portoghese – ricercatore al Mit e fellow alla Columbia – si occupa di automatizzazione dei contenuti digitali e di ‘augmentation’, aiutando i giornalisti a usare nuovi software per le loro ricerche. Tra i suoi compiti, anche lo smascheramento dei deep fake. Se con l’intelligenza artificiale – spiega Marconi – gia’ oggi si fa arte, si creano video, si possono fare traduzioni simultanee, dar vita ai quadri e ‘resuscitare’ chi non c’e’ piu’ con clip audio e video, tutte queste possibilita’ possono essere usate anche in maniera fraudolenta. Ed ecco i deep fake che prima erano basati su una tecnologia a disposizione di pochi e oggi invece possono essere create da chiunque con una semplice applicazione come FakeApp. “Con il diffondersi della tecnologia 5G – avverte l’esperto – oggi puoi creare deep fake addirittura in tempo reale”. Cosi’, per esempio, questa tecnologia puo’ essere usata per commettere frodi audio, spacciandosi per altri, mentre applicata ai video permette di modificare espressioni facciali e movimenti del corpo del protagonista. A vedere questi video, sembra impossibile capire che siano bufale. “Il problema – ammette Marconi – e’ che appena trovi una tecnica per smascherarli, la tecnologia avanza e bisogna trovare altre soluzioni per riconoscerli”. Il Mit ha creato un software che riconosce e analizza la variazione della pressione sanguigna sul corpo umano, assente nel caso di un fake, ma e’ una tecnologia troppo costosa per un giornale. E allora? Come si riconosce il vero dal verosimile? “Il modo migliore – riflette Marconi – e’ tornare ai fondamenti del giornalismo: analizzare le fonti, fare ricerche. Nel mondo dell’intelligenza artificiale gli standard di un reporter devono essere necessariamente piu’ elevati”. Le possibilita’ tecnologiche conducono anche – osserva l’esperto – ad una polarizzazione della societa’ in senso razzista e sessista: i software di riconoscimento sono molto piu’ precisi nell’identificare un maschio bianco, con percentuali di errore intorno all’1%, che una donna di colore, che nel 35% dei casi si rivela la persona sbagliata. Questo perche’ i modelli sono creati a partire da un determinato campione. Si va cosi’ verso una polarizzazione della societa’, esacerbata dagli algoritmi social che ci mostrano sempre e solo cio’ che ci piace, creando una separazione tra noi e cio’ che e’ diverso da noi. A tutto questo come si sfugge? Per Francesco Marconi, la soluzione si chiama ‘Tech humanism’: consiste nel “mettere le persone e la societa’ prima delle possibilita’ tecnologiche, nel dar vita a un’intelligenza artificiale che abbia l’uomo al centro”.


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