Tra storiografia ufficiale e verità negate un posto speciale spetta a alla Preistoria Campana, già prima della grande scoperta di Lòngola

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La storia la scrivono i vincitori. Non ci ricordiamo chi l’abbia detto, ma noi aggiungiamo che i vincitori la farciscono di menzogne.
E’ il caso della triste sorte del Regno delle due Sicilie finito nelle grinfie dei Savoia per una scelta strategica di politica mediterranea dell’Inghilterra dell’Ottocento – allora potenza planetaria – in previsione della realizzazione del Canale di Suez che avrebbe restituito ruolo centrale nella Storia ai popoli che si affacciavano sulle sue sponde
Si, diciamolo subito che questa è, al di là della Storia come ce la hanno fatta conoscere, l’antiStoria vera della nostra Italia riunita sotto il vessillo tricolore, che poi in origine era un vessillo massonico. Ma questo è un aspetto incidentale.
Certo è invece il fatto che la Massoneria inglese e quella europea – uscita dal Secolo dei Lumi nutrita di giacobinismo carbonaro – giocarono un ruolo fondamentale nella strategia della riunificazione, sotto un’unica bandiera, dei tanti degli staterelli che si dividevano la penisola italiana.
Purtroppo, tra quegli staterelli c’era il più antico stato d’Europa e, in assoluto, il più grande e ricco d’Italia, fondato dai Normanni circa diciassette secoli prima. La sua cancellazione era peraltro l’obiettivo primario dell’Inghilterra.
Dobbiamo partire perciò dalla sorte del grande Regno delle due Sicilie, finito nelle mani del piccolo regno dei Savoia, per capirci qualcosa.
Gli Inglesi infatti erano rimasti indispettiti dalla perdita dello sfruttamento delle miniere di zolfo siciliano, allora risorsa strategica militare fondamentale, perché serviva per la polvere da sparo.
Gli Inglesi erano altresì preoccupati della possibilità che la flotta borbonica, allora la terza forza marinara in Europa, avesse potuto acquisire un ruolo dominante nel Mediterraneo con l ‘apertura del Canale di Suez.
Quest’opera avrebbe restituito ruolo centrale nella Storia ai popoli che si affacciavano sulle sue sponde. E l’Inghilterra volle cambiare il corso della Storia. Ma la storia la scrivono i vincitori.
Chi vince, dunque, ha sempre ragione. Lapalisse insegna.
Ma c’è un’altra Storia in cui vince alla fine chi ha con sé la forza delle verità negate dai Vincitori. Alla luce delle verità negate tenteremo quindi di illuminare questa vicenda che già a suo tempo suscitò un vivace dibattito soffocato dalla retorica agiografica risorgimentale.
E’ pacificamente condiviso il fatto che l’Inghilterra nella vicenda assegnò alla Massoneria un ruolo politico non ufficiale, ma non occulto.
D’altra parte la Massoneria inglese e quella europea, compresa quella italiana, uscite dal Secolo dei Lumi nutrite di giacobinismo – che si tingeva
di carboneria nel caso di quella italiana – giocarono un ruolo fondamentale.
La tendenza antiborbonica e liberale della massoneria italiana fu perciò ampiamente strumentalizzata dalle mire strategiche degli Inglesi sulla penisola italiana, che essi volevano libera dai Borbone e asservita a una monarchia europea di scarso rango.
Era questo l’obiettivo primario, anche in danno al Papato di Roma, il cui ridimensionamento era ovviamente gradito anche alla Chiesa Anglicana.
L’obiettivo fu raggiunto, favorendo la impresa comunque travolgente e straordinaria di Garibaldi e facendo poi salire sul trono del Regno d’Italia una monarchia rozza e indebitata fino al collo, rappresentata al vertice da Vittorio Emanuele II. Quest’ultimo, divenuto Primo Re d’Italia conservò intatto il proprio nome, compreso il numerale “secondo” (!). Con somma iattanza e brutalità il nuovo Re parlò di annessione, dando prova di totale assenza di sensibilità istituzionale nei confronti di tutti i nuovi cittadini del neonato Regno d’Italia, riuniti sotto un’unica bandiera.
La storia la scrivono quindi i vincitori. Ma non sempre riescono a cancellare l’antiStoria dei vinti. Noi proviamo a scriverne ora un capitolo che tocca da vicino Lòngola. E, cosa c’entri Lòngola in tutto questo è presto detto.
La Valle del Sarno era stata da poco esplorata da un tenace archeologo emiliano, Innocenzo DALL’OSSO, che aveva scavato e indagato con coscienza libera da pregiudizi gli insediamenti preistorici della Valle del Sarno. Egli ne aveva colto l’originalità, svelandone la complessità della cultura e della organizzazione territoriale. La riteneva superiore rispetto a quella delle Terramare dell’Italia del Nord, che conosceva bene per avervi lavorato da giovane.
Per questo motivo si trovò però presto come un vaso di terracotta a competere con vasi di ferro. Questi ultimi erano rappresentati da numerosi esponenti della intellighentia codina e codarda dell’ Archeologia togata dei primi decenni del secolo scorso. Noi ci occuperemo delle peripezie faticose del giovane archeologo – DALL’OSSO appunto – divenuto funzionario presso la allora Soprintendenza Archeologica di Napoli nel Sud dell’Italia da poco riunificata. La sua colpa fu soprattutto questa: teorizzare il primato della Preistoria campana. DALL’OSSO la pagò duramente.
“Ma la sua figura di studioso e ricercatore originale oggi si va rivalutando, come merita.” Ci premette il dr Antonio MORLICCHIO, noto psichiatra scafatese e studioso di Meridionalismo, che intervisteremo nella prossima puntata.

Federico L.I. Federico

(1- continua)



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