Poliziotto arrestato per la morte di Hasib: ‘Ho provato vergogna’

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Poliziotto arrestato per la morte di Hasib: “Ho provato vergogna”. L’agente al telefono diceva: “Intervento finito male, si è buttato”. “La persona si era buttata di sotto una volta che loro erano giù nel cortile”.

Sono le parole che Andrea Pellegrini – agente di polizia arrestato ieri e accusato del reato di tortura per la vicenda di Hasib Omerovic -, avrebbe riferito a un agente della polizia locale di Roma Capitale nel pomeriggio del 25 luglio scorso spiegando che l’intervento nell’appartamento di Primavalle, periferia nord-ovest di Roma, era finito male.

Una testimonianza riportata nell’ordinanza con cui il gip di Roma, Ezio Damizia, ha disposto i domiciliari nei confronti del poliziotto dopo l’inchiesta dei poliziotti della Squadra Mobile, coordinata dal procuratore aggiunto Michele Prestipino e dal pm Stefano Luciani.

    “Un’anomalia, che assume al contempo valenza indiziaria del fatto che le cose non fossero andate come riferito nell’annotazione dal Pellegrini si ricava”, scrive il gip “dalle dichiarazioni” di un agente in servizio presso il Corpo di polizia locale e da successivi accertamenti.

    Sentito il 15 settembre 2022 “ha confermato il fatto che nella mattinata del 25 luglio personale del Commissariato di Primavalle si era recato presso il loro comando al fine di rintracciare l’abitazione di Hasib Omerovic, in particolare riferendo – viene riportato nell’ordinanza – che si era presentato Andrea Pellegrini, poliziotto di sua conoscenza, con altro collega, entrambi in borghese, chiedendo se aveva informazioni circa una persona rom, sordomuta che gira il quartiere rovistando nei cassonetti aggiungendo che tale soggetto gli interessava in quanto era stato oggetto di diverse segnalazioni nel quartiere per molestie sulle donne, tanto che” l’agente “si rammaricava in quanto, facendo egli parte del gruppo della polizia locale che si occupava di tali attività, non era pervenuta alcuna segnalazione in tal senso presso i loro uffici”.

    L’agente “ha inoltre riferito di aver ricevuto nel pomeriggio di quello stesso giorno (ore 16.30 circa) una telefonata da Pellegrini che stranamente lo ragguagliava del fatto che l’accertamento era finito male facendo riferimento in particolare al fatto che ‘la persona si era buttata di sotto una volta che loro erano giù nel cortile’, passaggio anche questo del tutto singolare, e verosimilmente denotante l’intento di fornire una giustificazione non richiesta.

    L’anomalia appare ancora maggiore considerato che dai tabulati non risulta alcuna telefonata in quell’orario, in partenza dal cellulare di Pellegrini verso il cellulare dell’agente”.

    “In caso di dubbi scrivi e parati il culo che poi l’onda di merda semmai arriva sommerge tutti…”. E’ quanto si legge in un messaggio WhatsApp – allegato all’ordinanza cautelare con cui il giudice Ezio Damizia ha disposto gli arresti domiciliari per il poliziotto Andrea Pellegrini, accusato dell’aggressione ad Hasib Omerovic – tra un ispettore, in servizio presso la Squadra Mobile, e un’ispettrice del commissariato Primavalle in cui le consigliava di redigere una relazione di servizio.

    Secondo quanto si legge nelle carte, poco prima i due avevano parlato al telefono e la poliziotta aveva raccomandato al collega di far svolgere “bene bene le indagini perche’ le cose non stanno come hanno scritto gli operanti”. L’uomo, come scritto, era infatti in servizio alla Squadra Mobile che ieri sera ha eseguito, al termine di articolate e tempestive indagini, la misura cautelare agli arresti domiciliari a carico di Pellegrini.

    “Ho provato un senso di vergogna” per non essere intervenuto e fermare quanto stava accadendo. E’ la giustificazione che l’agente che ha collaborato alle indagini sulla vicenda di Hasib Omerovic, ha fornito agli inquirenti sul fatto di non avere informato immediatamente i suoi superiori su quanto avvenuto nell’appartamento di Primavalle.

    Nell’ordinanza il gip della Capitale scrive che il poliziotto, testimone oculare, “ha riferito di essersi limitato a confidare alcune cose (la porta sfondata a un collega e gli schiaffi a un altro) e di essersi in qualche modo determinato a sottoscrivere la relazione di servizio, il cui contenuto non era corrispondente a quanto avvenuto, perché Pellegrini è pur sempre un suo superiore, di cui in qualche modo subiva il ‘peso’ e gli atteggiamenti, e che soltanto quando la pressione delle notizie di stampa sulla vicenda si era fatta insostenibile aveva finalmente sentito l’esigenza di recarsi dal dirigente per ‘riferire le cose come erano andate perché in queste situazioni è inutile cercare di nasconderle'”.



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