Caso Cucchi, superteste chiede scusa alla famiglia

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Una stretta di mano tra Ilaria Cucchi e il teste chiave, imputato al processo sulla morte di Stefano. A dieci anni dalla scomparsa del giovane geometra romano, in aula arriva il gesto di riconciliazione tanto atteso tra Francesco Tedesco e la famiglia Cucchi. Il vice brigadiere, alla sbarra per omicidio preterintenzionale, e’ stato il primo a parlare di pestaggio accusando gli altri due militari coimputati. Oggi subito dopo l’interrogatorio si e’ diretto verso la sorella di Stefano e le ha detto: “Mi dispiace”, porgendole la mano. Un gesto che ha “emozionato” Ilaria Cucchi arrivato dopo la ricostruzione in aula delle fasi del presunto pestaggio che sarebbe avvenuto nella notte tra il 15 e il 16 ottobre davanti a suoi occhi nei locali della Compagnia Casilina. “Dopo il primo schiaffo, Stefano non ha avuto il tempo di lamentarsi, non ha gridato. E’ caduto in terra stordito e non ha urlato neppure dopo il calcio che gli e’ stato sferrato a terra. Poi, quando l’ho aiutato a rialzarsi, gli ho chiesto come stava e lui mi ha detto di stare tranquillo perche’ era un pugile. Ma si vedeva che non stava bene”, ha spiegato Tedesco durante il controesame dei legali della difesa puntando ancora una volta il dito contro i suoi due colleghi, Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo. Nel corso dell’udienza inoltre, Maria Lampitella, legale di D’Alessandro, ha chiesto a Tedesco se ricordasse la frase pronunciata da Cucchi in macchina dopo il pestaggio, ‘Io muoio, ma a te tolgono la divisa’. Tedesco ha smentito la circostanza, ma per Ilaria Cucchi questo resta un passaggio significativo: “Ringrazio Lampitella, ci ha fornito un ulteriore e rilevante elemento. Stefano era stato appena picchiato e stava proprio male”. Davanti alla Corte d’Assise, Tedesco ha anche ricordato le difficolta’ che lo avrebbero spinto al silenzio per cosi’ tanto tempo: “D’Alessandro e Di Bernardo si sono nascosti per dieci anni dietro le mie spalle. A differenza mia, non hanno mai dovuto affrontare un pm. L’unico ad affrontare la situazione e ad avere delle conseguenze ero io. In tutti questi anni l’unica persona che aveva da perdere ero io, ero l’unico minacciato – ha spiegato il vice brigadiere – Cominciai a maturare la convinzione di dover parlare il 30 luglio 2015, quando fui convocato dal pm”. E proprio in vista della possibile richiesta di rinvio a giudizio da parte della procura di Roma nei confronti degli otto carabinieri accusati dei depistaggi messi in atto anche da ufficiali dell’Arma, i tre agenti della Polizia penitenziaria che sono stati assolti al primo processo hanno annunciato che si costituiranno parte civile in un eventuale altro dibattimento. A rischiare il rinvio a giudizio sono, tra gli altri, il generale Alessandro Casarsa, all’epoca comandante del gruppo Roma, e il colonnello Lorenzo Sabatino, ex capo del nucleo operativo dei carabinieri di Roma.


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