I boss mafiosi Nino Madonia e Vincenzo Galatolo sono stati condannati a 30 anni di carcere per l'omicidio di Lia Pipitone, figlia del boss del quartiere palermitano dell'Acquasanta, Nino Pipitone, ritenuto colui che avrebbe voluto la morte della giovane, assassinata il 23 settembre 1983.Potrebbe interessarti
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Il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo aveva fatto mettere a verbale: "Rosalia, con la quale ho avuto un rapporto di affetto, era nata per la liberta' ed e' morta per la sua liberta'. Mio fratello mi ha riferito che il padre di Lia aveva deciso la punizione della donna perche' non voleva essere criticato per questa situazione incresciosa". Le indagini sono ripartite dopo la pubblicazione del libro "Se muoio sopravvivimi", scritto dal giornalista Salvo Palazzolo con Alessio Cordaro, figlio di Lia Pipitone. A meta' degli anni duemila era finito in carcere Antonino Pipitone, padre della donna (allora ventiquattrenne), poi assolto per mancanza di riscontri alle accuse dei pentiti. L'uomo, nel frattempo, e' morto. "Secondo la regola di Cosa nostra - ha raccontato il pentito al pm Francesco Del Bene - Nino Madonia ha convocato Nino Pipitone al quale ha comunicato la decisione di risolvere il problema eliminando la figlia, circostanza a cui il padre non si e' sottratto nel rispetto della mentalita' di Cosa nostra". Sempre secondo Di Carlo, "Madonia ha convocato Vincenzo Galatolo al quale ha affidato l'esecuzione materiale dell'omicidio. Il delitto e' stato consumato mediante la messa in scena, in quanto era evidente che i rapinatori non avevano alcun interesse a uccidere una persona che stava parlando al telefono da una cabina". Ulteriore precisazione sulla messa in scena: "Che tale decisione provenga da Cosa nostra - ha messo a verbale Francesco Di Carlo - e' confermata dalla circostanza che nessun intervento e' stato realizzato per individuare i rapinatori che avevano ucciso la figlia di un importante esponente di Cosa nostra".
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