‘Storie di bullismo’, il progetto promosso dal Comune di Napoli che dà voce ai ragazzi

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“Storie di bullismo” è il progetto promosso dal Comune di Napoli in collaborazione con il Dipartimento Sinapsi dell’Università Federico II  la Polizia municipale. Il bullismo, la violenza, le relazioni tra adolescenti visti e raccontati dai ragazzi attraverso video e progetti. Oggi la presentazione dei lavori conclusivi del programma, alla seconda edizione, che ha visto la partecipazione di otto scuole cittadine. “Il Comune – ha detto il sindaco, Luigi de Magistris – sta facendo la sua parte e sta svolgendo un ruolo di coordinamento tra tutte le parti coinvolte. La comunità napoletana è fortemente impegnata e dobbiamo continuare a lavorare per scovare i talenti dei ragazzi perché nessuno nasce delinquente”.
Il programma vede coinvolti – come sottolineato dall’assessore alle Politiche giovanili, Alessandra Clemente – anche i giovani professionisti che attraverso la misura Garanzia Giovani stanno svolgendo il tirocinio formativo presso gli uffici dell’amministrazione. Un tema, il bullismo, che come evidenziato dall’assessore all’Istruzione, Annamaria Palmieri, ”non va affrontato con retorica, ma che deve impegnare tutti a capire cosa trasforma dei ragazzi in bulli perché spesso dietro ai bulli ci sono difficili storie familiari, pregiudizi culturali e genitori che non insegnano il rispetto per gli altri”. In sala anche Maria Luisa Iavarone, la mamma di Arturo, il giovane ferito a dicembre da una baby gang in via Foria. “Credo – ha affermato – che bisogna mettere in campo azioni maggiormente di sistema, più capaci di mettere insieme risorse ulteriori. L’approccio per territorio – ha proseguito – è superato perché non esistono territori o scuole a rischio in modo specifico ma bisogna pensare a ragazzi a rischio che hanno anche bisogno di sostegno psicologico e psichiatrico. E’ necessario – ha concluso – mirare al target in modo più specifico perché se continuiamo a lavorare solo sulle scuole non intercetteremo mai quei giovani che la scuola non la frequentano e pertanto dobbiamo avere radar più specifici per tracciare il rischio invisibile”.


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