Napoli, nuova operazione al giovane detenuto in coma. La famiglia protesta: ‘Perché piantonarlo?’

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Napoli.”Vi scriviamo sperando che ci diate voce. Tutto ciò per far sì che la popolazione sia resa consapevole dei fatti che caratterizzano questo mondo abitato, checché se ne possa dire, anche e soprattutto da persone. Siamo attenzionati, e lo siamo quotidianamente, per il nostro vissuto, per i reati che ci addossiamo, per i comportamenti, per la mentalità e per tutto ciò che possa concernere un modo di vivere errato e che ha come paternità il disagio, la mancata istruzione, l’assenza di lavoro, l’abbandono delle istituzioni, la carenza di servizi e del controllo sociosanitario”. Inizia la lettera che i detenuti del padiglione Avellino del carcere di Poggioreale hanno inviato al quotidiano Il Roma, che l’ha pubblicata nell’edizione oggi in edicola. Sono gli stessi detenuti che hanno condiviso la detenzione con  Michele Antonio Elia, detto Miky, il 20enne figlio del boss del Pallonetto di Santa Lucia e di Adriana Bianchi. Il giovane si trova ora nel reparto rianimazione dell’ospedale Cto ed è in coma per una otite curata male in carcere e che gli ha causato una infezione cerebrale per la quale è stato sottoposto a una delicatissima operazione chirurgica.  Mercoledì il ragazzo ha subito il secondo intervento chirurgico alla testa per la rimozione di un’importante quantità di pus che era tornata a formarsi.  “Dal giorno del ricovero non ha mai più ripreso conoscenza- hanno spiegato i familiari al giornale Il Roma- le sue condizioni sono purtroppo disperate. Come noi del resto. Secondo noi è un vero scandalo che Michele, nonostante sia in coma ormai da giorni, si trovi ancora piantonato. Un agente di polizia penitenziaria, in divisa e quindi non sterilizzato, lo tiene continuamente sotto controllo come se potesse muoversi da quel letto. La verità è che si è persa ogni forma di rispetto per il dolore e la dignità dell’uomo. Se oggi Michele è in qualche modo ancora vivo lo dobbiamo soltanto al cugino che si trovava detenuto con lui nella stessa cella. È stato lui a prenderlo di peso e ad avvertire le ‘guardie’. Le ultime parole di Michele, stando a quanto ci hanno riferito, sono state ‘aiutatemi, sto morendo”’ Dopo di che si è accasciato al suolo guardando le foto dei suoi fratellini”. Ma quello che è accaduto in carcere lo raccontano i detenuti nella lettera inviata a Il Roma:  “Giorni fa un nostro compagno di detenzione ha dovuto essere ricoverato con urgenza in ospedale perché manifestava dei sintomi seri che sono stati recepiti dalla sanità interna (quella del carcere di Poggioreale, ndr) solo dopo circa un mese di lamentele messe in atto con forza civile e con un confronto diretto con le istituzioni. L’inascoltata richiesta di aiuto di Michele Elia ha sicuramente aggravato il suo problema di salute e si spera in modo non decisivo per la sua giovane vita. Troppo spesso la sanità nelle carceri ha subito, giustamente, critiche, anche se nei fatti, forse, nessuno ha poi mai pagato per i propri errori. Non vogliamo accusare nessuno, vorremmo però che fossimo considerati, almeno nell’ambito sanitario, come pazienti bisognosi di attenzioni quando il caso lo richiede e curati indipendentemente dai reati, le colpe e il luogo di restrizione. Siamo stanchi di essere il ‘sapone’ che serve per pulire le coscienze di chi ci usa per i propri scopi e si arroga il diritto di poterci manipolare certo di quell’immunità dovuta alla nostra posizione sociale. Siamo stanchi di sentire abusi di ogni genere ed essere trattati come i portatori di tutti i mali della società. Siamo costernati e avviliti per essere classificati al di sotto della razza animale ed essere etichettati tutti i giorni come se il farlo rendesse migliori i detrattori e il loro mondo.Siamo e vorremmo essere soprattutto degli uomini migliori, con le loro colpe ma consapevoli di avere un cuore, un’anima e tanto di quell’amore che i reati e chi li cavalca hanno relegato nel dimenticatoio. Non lasciate che la disinformazione si appropri della verità e dei fatti reali che hanno caratterizzato quest’ennesima brutta vicenda che ha avuto come teatro un luogo come il carcere, sempre pronto a essere additato e usato come discarica sia sociale che di convenienza”. 


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