Ecco le storie spezzate nella funivia: sogni infranti di cinque famiglie

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Storie di vita, storie spezzate, sogni infranti in un tonfo. La tragedia della funivia del Mottarone a Stresa è l’emblema della vita che sfugge in un attimo per quattordici tra bimbi, madri, padri, fidanzati.

Persone felici un attimo prima di perdere la vita nella terza più grande tragedia italiana dopo le due del Cermis, del marzo 1976 quando per un incidente tecnico la cabina della funivia precipitò causando 42 morti e l’altra del febbraio 1998, quando un aereo militare statunitense tranciò i cavi dell’impianto uccidendo 20 persone.

Dietro ogni nome della tragedia del Mottarone ci sono storie che commuovono, lasciano affranti, momenti felici che purtroppo non ritorneranno più, famiglie distrutte come quella di Eitan, 6 anni, che lotta per sopravvivere in ospedale. L’unico rimasto in vita dei 15 che erano nella cabinovia di Stresa schiantatasi dopo un volo di 20 metri.

Tutti a guardare quello splendido paesaggio dall’alto a gioire di un momento felice a guardarsi negli occhi prima dell’orrore. Il destino implacabile della morte.

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    In quella cabina c’era Tom, il fratellino di Eitan che lotta per la vita. Tom aveva solo due anni. In quella cabina sono morte tre generazioni della famiglia di origini israeliane che viveva a Milano. C’erano i bisnonni di Tom e Eitan, Itshak Cohen, 82 anni, e la moglie Barbara Cohen Konisky, 70 anni. Erano i nonni di Tal Peleg, 26 anni, moglie di Amit Biran, 30 anni, e mamma dei due piccoli. Itshak Cohen e la moglie erano arrivati da alcuni giorni a Pavia per trovare i loro parenti. Oggi si erano recati tutti in Piemonte per una gita al Mottarone. Amit Biran lavorava come guardia in una sinagoga di Milano.

    La comunità israeliana su Facebook lo ricorda così: “Erano rientrati da poco da Israele e volevano passare una giornata spensierata. È una tragedia che lascia senza parole”, ha detto il presidente della Comunità ebraica di Milano Milo Hasbani. “Amit faceva sicurezza da noi. Era studente di medicina, un giovane molto gentile, sempre sorridente. Una persona squisita. È veramente un grande dolore”.

    In quella cabina c’era Roberta Pistolato. Oggi aveva compiuto 40 anni e con il marito Angelo Vito Gasparro – entrambi originari di Bari – viveva a Castel San Giovanni in provincia di Piacenza. Roberta aveva coronato il suo sogno di diventare medico e da mesi era impegnata nella campagna di vaccinazione della Ausl piacentina.

    “È una serata molto triste per la nostra Azienda – si legge sul profilo Facebooc della Usl -. Nella tragedia odierna di Stresa-Mottarone, sul lago Maggiore, abbiamo perso una collega, la dottoressa Roberta Pistolato, vittima dell’incidente insieme al marito Angelo Vito Gasparro. La professionista da qualche mese stava svolgendo attività come medico nei centri di vaccinazione della nostra provincia e anche a casa dei pazienti. In precedenza, fresca del giuramento di Ippocrate, aveva lavorato nella Continuità assistenziale (ex Guardia medica).Tutti i colleghi desiderano esprimere cordoglio e vicinanza alla famiglia”.

    “Era una professionista disponibile e cordiale – evidenzia Anna Maria Andena – che ha sempre dimostrato spirito di servizio nello svolgimento del proprio lavoro”.
    Alle 11 Roberta ha inviato un ultimo messaggio alla sorella: “Stiamo entrando nella funivia”. Poi il nulla. La sua vita si è spenta in un soffio insieme a quella del marito.

    Poi ci sono loro i due fidanzati, si erano dati appuntamento a Stresa per passare un week-end insieme, Shahaisavandi Mohannadreza, cittadino iraniano, 23 anni, residente a Diamante in provincia di Cosenza, paese della sua fidanzata, Serena Cosentino, 27 anni compiuti il 4 maggio scorso. Erano belli e innamorati, questo traspare dalle foto postate sui social. Serena  si era laureata con 110 e lode e da marzo, dopo un’esperienza a Londra, lavorava in una sede del Cnr a Verbania. Serena aveva lasciato Diamante per studiare prima a Roma, poi per lavorare a Londra.

    Shahaisavandi Mohammandrez, viveva ancora nella Capitale dalla quale era partito per trascorrere la domenica con la sua Serena, una ragazza brillante, studiosa, piena di voglia di vivere. A Diamante vive la sua famiglia: il padre, tecnico antennista, la madre, due sorelle gemelle piu’ grandi di lei che esercitano la professione di nutrizioniste e coltivano la passione per la pallavolo, ed un fratello piu’ piccolo. Per un periodo la famiglia aveva avuto in gestione un bar, dove sia Serena sia il fidanzato avevano lavorato. Il sindaco Ernesto Magorno, appresa la notizia, si e’ messo in contatto con il prefetto. La municipalita’ intende onorare i suoi concittadini e si prepara ad accoglierne le salme.

    In quella cabina c’era un’altra coppia di fidanzati, provenivano da Varese, Silvia Malnati 27 anni, impiegata in un negozio di cosmetica a Milano ed Alessandro Merlo, 29 anni. Erano fidanzati da dieci anni e si volevano sposare.
    E poi c’era la famiglia di Vittorio Zorloni, 55 anni e Elisabetta Persanini, 38, e il bimbo di cinque anni morto dopo essere stato trasportato a Torino  con un elicottero dopo l’incidente.

    Il racconto dei soccorritori su quanto è avvenuto poco dopo le 12 di stamane, 23 maggio, è straziante. “C’erano diversi corpi fuori dalla cabina, altri erano all’interno delle lamiere contorte della cabina stessa” dice Roberto Marchioni, comandante dei vigili del fuoco di Verbania.

    Quei corpi erano vite, storie, sorrisi, progetti di vita, sacrifici. Spezzati in un tonfo tra il Lago d’Orta e il Lago Maggiore, in una tragedia che grida a gran voce ‘Perchè’.

    Rosaria Federico



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