Scafati, Acse condannata dal giudice del lavoro: ingiusta la sanzione disciplinare alla dipendente

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Scafati. Sanzione disciplinare sproporzionata e ingiusta comminata ad una dipendente dell’Acse: il giudice del lavoro condanna la società e annulla il provvedimento. Vince la sua battaglia Angela Calmino, la dipendente dell’Acse sanzionata con due giorni di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione dopo una lettera di contestazione disciplinare a firma del Presidente del consiglio di amministrazione dell’Acse, Daniele Meriani. La sentenza del giudice del lavoro Carlo Mancuso del Tribunale di Nocera Inferiore, a seguito dell’istruttoria dibattimentale, conclude per l’annullamento della sanzione e la condanna della la società del Comune che si occupa di raccolta dei rifiuti e parcheggi a pagare le spese di giudizio, oltre alla cancellazione del provvedimento disciplinare dal fascicolo. Angela Calmino, dipendente storica dell’Acse, difesa dall’avvocato Mario Cretella ha visto – dopo una battaglia legale durata più di un anno – riconosciute le proprie ragioni in merito alla contestazione ingiusta dell’azienda. La vicenda che si inquadra nell’ambito della gestione della società da parte di Meriani, il presidente nominato dalla triade commissariale a seguito dello scioglimento, per infiltrazioni malavitose, del consiglio comunale, e nasce alla fine dell’ottobre del 2017 quando alla dipendente vennero improvvisamente revocate le precedenti mansioni di front office e registrazione delle presenze del personale, all’interno della sede principale dell’Acse di via Diaz per essere inviata al servizio di controllo e gestione della sosta a pagamento del Piazzale Aldo Moro. In sostanza Calmino avrebbe dovuto a partire dal 30 ottobre del 2017 e fino al 4 novembre dello stesso anno contabilizzare le entrate e le uscite dal parcheggio pubblico, cambiando anche il luogo di lavoro. A seguito della comunicazione dell’ordine di servizio la donna fu convocata dal presidente Meriani che alla presenza di altri funzionari della società la ragguagliò delle mansioni da svolgere, insieme ad un altro collega. Durante l’incontro la dipendente manifestò le sue perplessità rispetto alle mansioni ma in particolar modo per il luogo di lavoro individuato dall’azienda: avrebbe dovuto infatti trasferire il suo ufficio da via Diaz presso il container di pochi metri quadrati senza servizi igienici e riscaldamento, situato sul piazzale Aldo Moro. Secondo alcuni testimoni, la discussione tra i vertici dell’Acse e la dipendente ebbe toni sostenuti ma non trascese. Ma la donna che visse quell’ordine di servizio come un demansionamento ebbe un malore e andò via. Fu assente per malattia per un paio di mesi e al suo ritorno continuò a lavorare nella sede principale occupandosi della gestione dei parcheggi. Il giudice, sentite le parti, conclude che non ci fu una vera e propria lite tra la dipendente e il presidente dell’Acse il quale presentò invece una denuncia querela nei confronti del marito della dipendente che – secondo quanto sostenuto da Daniele Meriani – quello stesso giorno lo avrebbe aggredito verbalmente fuori dalla sede dell’Acse. Ma il diverbio con il marito della donna, secondo il giudice, non può giustificare la sanzione – tra le più gravi comminate ad un dipendente – di sospensione dal lavoro e dallo stipendio in quanto non è frutto di un comportamento soggettivo. Nella lettera di contestazione di fa riferimento ad un atteggiamento irriguardoso e alterato nei confronti dei superiori gerarchici che non è emersa dall’istruttoria processuale e dalle testimonianze delle persone presenti. Per il giudice, quindi, c’è stata una ‘sproporzione tra la gravità della sanzione comminata e il fatto addebitato’ e quindi ha accolto il ricorso di Angela Calmino, annullando il provvedimento sanzionatorio condannando l’Acse a restituire la somma dello stipendio trattenuta e a pagare le spese di lite. Inoltre, il giudice ha imposto al datore di lavoro di cancellare dal fascicolo della dipendente la sanzione disciplinare. (r.f.)



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