Lavoro accessorio: cos’è e come funziona

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Il mercato del lavoro è in costante evoluzione, nel tentativo di rispondere al meglio alle mutevoli esigenze sia dei datori di lavoro sia dei dipendenti. Esistono, infatti, numerose forme contrattuali introdotte dal legislatore nel corso del tempo per regolamentare vari tipi di prestazione lavorativa. Per le prestazioni di natura occasionale, nel 2015 venne introdotta la formula del ‘lavoro accessorio’, successivamente modificata ed infine abrogata nel 2017 tramite il decreto-legge del 17 marzo 2017 (“Disposizioni urgenti per l’abrogazione delle disposizioni in materia di lavoro accessorio”).

Il ‘Jobs Act’ del 2015 e l’ulteriore riforma del 2016

Come si legge sul sito ufficiale dell’INPS, “la disciplina normativa del lavoro accessorio […] è stata integralmente sostituita dalla nuova riforma del mercato del lavoro introdotta dal “Jobs Act”“. Quest’ultimo è stato a sua volta parzialmente ‘corretto’ dal decreto legislativo n. 185 del 24 settembre 2016. Le modifiche della normativa hanno, da un lato, incrementato i limiti economici del lavoro accessorio e, dall’altra, esteso il campo di applicazione della formula: “infatti, il lavoro accessorio” – si legge su http://www.inps.it –  “può essere utilizzato da qualsiasi committente, per qualsiasi attività lavorativa e impiegando qualsiasi tipologia di lavoratore“.

    In particolare, con il decreto del 2016, il concetto di ‘occasionalità’ perde di rilevanza; il ricorso alla formula contrattuale del lavoro occasionale accessorio è sempre ammissibile purché rientri nei limiti economici annuali stabiliti per legge. Con il decreto-legge n. 25 del 17 marzo 2017, inoltre, la normativa ha subito un’ulteriore modificazione per cui dal 18 marzo 2017 non è più possibile l’acquisto di voucher. Per la gestione dei buoni acquisiti in data precedente a quella di abrogazione del lavoro accessorio, è possibile richiedere una consulenza ad uno studio legale, rivolgendosi anche anche alle specifiche sezioni di portali specializzati (come ad esempio https://www.avvocatoaccanto.com).

    Come funzionava il lavoro accessorio

    Prima dell’ultima riforma del 2017, chi intendeva commissionare una prestazione lavorativa accessoria comprava i cosiddetti ‘buoni lavoro’ (o voucher); questi – dal valore nominale di 10 euro lordi – vengono poi utilizzati come retribuzione minima di un’ora di lavoro. Per il settore agricolo, invece, “si assume come parametro di riferimento la retribuzione oraria delle prestazioni di natura subordinata, individuata dal contratto collettivo stipulato dalle associazioni sindacali“, come riporta il sito dell’INPS.

    Per ogni voucher, il lavoratore incassava 7.50 euro netti; la differenza di 2.50 euro era determinata dalle seguenti voci:

    – contribuzione previdenziale alla Gestione Separata (1.30 euro);

    – copertura assicurativa INAIL contro gli infortuni sul lavoro (0.70 euro);

    – compenso al concessionario per la gestione del servizio (0.50 euro).

    Sia i contributi previdenziali che la copertura assicurativa vengono versati direttamente dal concessionario che ha in gestione il servizio. Va sottolineato come la contribuzione previdenziale, nel caso specifico, non facesse maturare il diritto a malattia, maternità, disoccupazione o altre prestazioni temporanee.

    Limiti economici e di utilizzo

    Il lavoro occasionale accessorio prevedeva un limite economico pari a 7.000 euro netti all’anno (ossia  9.330 euro lordi); all’interno di tale soglia era previsto anche un altro limite (pari a 2.000 euro netti annui) che concerne i “singoli rapporti tra prestatore di lavoro e committente imprenditore o professionista“.

    Naturalmente, il legislatore aveva previsto anche specifici ambiti di utilizzo dei buoni lavoro che non potevano essere impiegati nei seguenti casi:

    –  per prestazioni di lavoro accessorio nell’ambito dell’esecuzione di appalti di opere o servizi;

    – se il lavoratore era già impiegato presso lo stesso datore di lavoro tramite un contratto di lavoro dipendente, sia esso a tempo pieno o parziale.

    In aggiunta, i committenti pubblici erano autorizzati al ricorso al lavoro occasionale accessorio “nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno“. Per il settore agricolo, infine, i voucher erano utilizzabili senza restrizioni da parte delle aziende con un volume d’affari inferiore a 7.000 euro; le altre, invece, potevano impiegare i buoni lavoro solo per prestazioni stagionali (fornite da studenti o pensionati).


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