Daniele, dal carcere agli Usa grazie all’arte della pizza

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Dal carcere minorile di Nisida, a Napoli, fino alla conquista degli Stati Uniti con la sua pizza: Daniele Gagliotta, 31 anni, attualmente residente a Washington, gira il mondo come consulente nella ristorazione, e con un sorriso orgoglioso racconta il suo percorso.

“Ho cercato di inseguire un sogno che a volte non era neppure facile immaginare,” dice dopo un’intensa giornata di lavoro, “ma grazie alla mia università, che è stata quella della strada, del marciapiede, ho tirato fuori il meglio di me. Ho lavorato tanto, e ora questo sogno sta diventando una realtà: ho una casa, una famiglia e la fiducia di tanti che credono in me.”

La pizza di Daniele è un connubio tra la tradizionale napoletana e quella contemporanea e gourmet. La sua storia, però, è iniziata con difficoltà. Originario del centro storico di Napoli, la sua infanzia è stata complicata.

“Dopo essere uscito dal carcere di Nisida, dove sono stato per due anni, ho sempre nascosto questa parte della mia vita. Ora, sono pronto ad affrontare il mio passato con consapevolezza: so di aver commesso errori da giovane, ma so anche che tutti nella vita possono sbagliare e avere una seconda opportunità. Grazie alle persone che ho incontrato, c’è stata la svolta.”

Il periodo trascorso a Nisida lo ha visto condividere la cella con esponenti pericolosi di famiglie malavitose di Napoli. Molti di loro, mentre Daniele ha iniziato a lavorare e ottenere riconoscimenti, sono stati coinvolti in tragiche vicende, alcuni perdendo la vita e altri condannati all’ergastolo.

    Le opportunità si sono presentate attraverso corsi di formazione intrapresi proprio in carcere: panificazione, pizza, ma anche teatro. Uno dei primi a credere in lui è stato Errico Porzio, noto come il “pizzaiolo di popolo”.

    Quando Daniele si presentò da lui nel 2013 per frequentare il corso di pizzaiolo, era in manette e accompagnato dalla polizia penitenziaria. “Mi vergognavo di quelle manette ai polsi, mi venne da piangere,” ricorda oggi.

    “Forse, se non fossi finito in carcere, non avrei avuto le stesse opportunità. Ho pagato le conseguenze delle mie azioni e ora sono maturato. Ho imparato ad ascoltare gli altri, mentre prima, uno dei miei più grandi errori, era proprio quello di non sapere e volere ascoltare.”

    Il suo legame con Napoli e la sua identità partenopea emergono con entusiasmo: “Il fatto di essere un figlio di Napoli mi regala emozioni, mi dà un’energia che forse, se fossi nato da un’altra parte, non avrei avuto. I

    n pochi anni, ho già portato il mio lavoro di consulente in 15 paesi del mondo, ho ricevuto premi, ma il più grande di tutti è poter essere oggi un esempio per tanti giovani che pensano ancora che la strada, poter guadagnare e spendere tanti soldi velocemente sia tutto. Non è vero, non è così. Ora che sto dall’altra parte del marciapiede, posso dire che tutti possiamo farcela, se solo lo vogliamo.”



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