A Ravello si rinnova prodigio, sciolto il sangue di San Pantaleone

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Ravello. In Campania a sciogliersi non c’e’ solo il sangue di San Gennaro, patrono di Napoli. Anche Ravello vanta il suo prodigio, e l’atteso fenomeno della liquefazione del sangue di San Pantaleone, protettore della citta’ e protettore dei medici, si e’ manifestato in una forma palese oggi, nel giorno che ricorda il martirio del santo, avvenuto nel 305 d.C. a Nicomedia, l’odierna citta’ turca di Izmit.

La reliquia custodita nel Duomo ha uno strato superficiale biancastro, tendente al giallognolo, mentre quello intermedio e’ schiarito. Oggi il sangue si presenta di colore rosso rubino, totalmente liquefatto. A confermare il fenomeno, il parroco, don Angelo Mansi, che gia’ il mese scorso aveva annunciato l’inizio dell’evento prodigioso che per i fedeli di Ravello e’ la testimonianza della presenza viva del santo tra la sua gente.

Rispetto all’ampolla del sangue di San Gennaro, quella di Ravello resta stabile all’interno della teca nella cappella dedicata. San Pantaleone, esercitava la professione di medico e subi’ il martirio a causa della sua profonda fede in Cristo.



    La leggenda vuole che, dopo la decapitazione del martire, una pia donna ne abbia raccolto il sangue in un’ampolla, conservandolo, con profonda devozione, in casa propria. Ancora oggi San Pantaleone e’ venerato nella Chiesa Orientale ed e’ stato annoverato fra i quattordici santi ausiliatori (invocati dal popolo cristiano nei momenti difficili).

    La mancanza di documenti, pero’, non consente di stabilire con esattezza come la reliquia sia pervenuta a Ravello. La tradizione vuole che l’ampolla contenete il sangue arrivo’ tra il IX ed XI secolo, quando i ravellesi, con gli amalfitani, tenevano rapporti commerciali straordinariamente intensi con l’Oriente e in particolare con Costantinopoli. Come altre importanti reliquie arrivate nella Penisola (vedi quelle di San Marco per Venezia, Sant’Andrea per Amalfi e San Nicola per Bari), probabilmente anche il sangue di San Pantalone potrebbe essere frutto di un baratto o di un saccheggio.

    L’imbarcazione che lo trasportava fu sorpresa da una forte tempesta che costrinse i marinai amalfitani e ravellesi a rimanere, a lungo, nella rada di Castiglione o Marmorata, nel territorio di Ravello. Dato che la bufera stentava a placarsi, si penso’ che la reliquia volesse ostinatamente rimanere nel territorio di Ravello. Allora il clero e tutto il popolo ravellese raggiunsero in fretta la costa e, in solenne processione, recarono l’ampolla del sangue del martire a Ravello, che da quel giorno aveva scelto come sua patria di elezione la cittadina.

    Il sangue di San Pantaleone e’ custodito in un’ampolla in vetro dalla forma tonda e schiacciata, cinta da una doppia fasciatura in argento dorato, decorata con volute fogliacee e trafori esalobati, che si innesta su una piramide esagonale, probabilmente eseguita in una oreficeria napoletana durante il periodo aragonese.

    Nella parte superiore, invece, il lungo collo e’ sormontato da una statuina barocca raffigurante il santo medico con il Vangelo e un ramo di palma unito alla corona imperiale, simbolo del martirio e della gloria. Dal 1661 e’ posta sull’altare della cappella della navata destra del Duomo e da piu’ di tre secoli non puo’ essere toccata o sfiorata perche’ protetta da due grate di ferro.

    Il siero occupa circa la meta’ dell’ampolla sulla superficie esterna del reliquiario: scuro e ben demarcato risulta essere lo strato inferiore dov’e’ depositato sangue commisto a terriccio o sabbia (la leggenda vuole che dopo il martirio una donna raccolse il sangue da terra e lo ripose in un’ampolla).

    In superficie la sostanza si presenta con alcune crepe e la comparsa di epifenomeni che anticipano e continuano con la liquefazione, l’ebollizione e la fluttuazione; per la maggior parte dell’anno permane in uno stato denso scuro ed opaco, quasi solidificato. i e che per secoli ha messo a confronto religiosi e scienziati. Il processo di mutamento dello stato del sangue di San Pantaleone pare si verificasse gia’ a Costantinopoli, dove e’ documentato dal 1057.


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