La piazza della Lamia era aperta dalle 16 alle 5 del mattino: i ruoli

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Pagani. Dodici “avvistatori” del gruppo De Maio-Pepe più Salvatore Olivieri, con funzione di palo, a disposizione dei capi per occuparsi anche di altre “questioni”. Come “avvistatori” l’organizzazione aveva arruolato anche dei minorenni, per far fare loro esperienza. E’ il caso di Alfonso C. con il ruolo di vedetta durante il trasporto dello stupefacente dal luogo in cui era custodito al momento dello spaccio vero e proprio, in via Matteotti, all’interno del cortile del civico 93, vicino al bar Il Ritrovo. Il metodo utilizzato era semplice: suddivise le zone, controllavano il percorso, e se avvistavano un’auto dei carabinieri, avvisavano con una telefonata dal cellulare il resto del gruppo. Gli inquirenti ritengono che anche nel gruppo degli “avvistatori” della Lamia vigesse una scala gerarchica, basata, molto probabilmente, sulla loro esperienza sul campo o comunque sulla età anagrafica. In particolare controllavano l’accesso da viale Trieste, una volta che la pattuglia arrivava all’altezza di via Criscuolo, i militari venivano avvistati e vi era tutto il tempo per avvisare. Turnazione dal pomeriggio a notte inoltrata dei pusher, strade presidiate con vedette e droga nascosta in anfratti e mai addosso o a casa. C’è un episodio in particolare che ha destato l’attenzione dei carabinieri guidati dal tenente colonnello Francesco Mortari e del tenente Simone Cannatelli. Il 27 febbraio del 2017 Salvatore Olivieri, “avvistatore”, alla vista dei carabinieri si lanciò contro l’auto, costringendo l’auto a fermarsi e a Vincenzo Buonocore di fuggire. I carabinieri, per identificare uno ad uno tutti i componenti del gruppo, hanno piazzato ben due telecamere per controllare l’area di spaccio. La prima, però, fu scoperta dai pusher e tolta dalla cassetta dell’Enel dove era stata posizionata. Cosa questa, che come scrive il gip, “dimostra come il controllo del territorio da parte del gruppo criminale fosse stringente e come si fosse ben attenti ad evitare ogni forma di monitoraggio da parte dell’autorità giudiziaria, a riprova dell’attività illecita costantemente esercitata”.
Gli investigatori si sono insospettiti per il continuo andirivieni dal civico 93: quell’angolo, fuori dal cono visuale della telecamera, era utilizzato dai pusher come “deposito” per le dosi. Poi tornavano nel cortile adiacente il bar “Il Ristoro” e si incontravano nuovamente con l’avventore. Il 31 maggio i carabinieri decidono di perquisire il cortile notando in una insenatura di un muro un involucro cilindrico attaccato, tramite calamita, alla parte in ferro del portone. All’interno vi erano cinquantuno pallini tra cocaina e crac del peso complessivo di 8,3 grammi con quattro dosi di marijuana del peso di 4.8 grammi.
Salvatore De Maio, meglio conosciuto come Tor ‘o Nir per il colore scuro della sua pelle, nelle intercettazioni dei carabinieri dice: “Ma ora si deve fare così, poi il resto me lo vedo io. Mi posso muovere pure da solo, se voglio l’unico che può prendere benefici qui so solo io”. Parole queste che attestano che sia lui ad essere a capo del sistema di spaccio del centro storico di Pagani. E’ la figura verticistica contigua al clan Fezza D’Auria Petrosino, smantellato dalle maxi inchieste della Dda, Taurania Revenge e Criniera. È lui a controllare le piazze di spaccio, a dare ordini sulla consegna ai pusher, ad accorrere durante i controlli dei carabinieri, a decidere dove piazzare le vedette, a preparare le dosi, a riscuotere i soldi e a organizzare il gruppo, valutando anche l’eventuale inserimento di nuovi affiliati. DE Maio, quarant’anni, è già noto agli inquirenti per il suo coivolgimento nel maxi blitz Taurania Revenge contro il clan Fezza D’Auria Petronino. Su di lui pende ad oggi un giudizio in appello anche per estorsione, consumata insieme a Vincenzo Pepe, il suo braccio destro, nei riguardi di un commerciante. Entrambi condannati in primo grado, secondo le accuse anche in quell’occasione avevano agito per conto del clan, con l’aggravante del metodo mafioso. Persino nel parlare con un carabiniere, durante un controllo, riferirà di essere amico della “famiglia Fezza”. Gli affari del quadrilatero della Lamia fruttano al gruppo De Maio-Pepe almeno diecimila euro a settimana, quarantamila al mese e cinquecentomila l’anno. Anche Vincenzo Pepe, considerato l’alter ego di De Maio: “Tanto stiamo insieme, io e lui è la stessa cosa”, si muoveva come un capo, controllando le piazze e dando disposizioni ai pusher, che venivano poi retribuiti con regolare stipendio. Il gruppo, legato dal vincolo associativo, badava a tutto, anche a preoccuparsi se qualche assuntore faceva i loro nomi ai carabinieri. A punirli ci pensava Salvatore Olivieri, figlio del boss Giuseppe, Peppe Saccone, ucciso nell’ospedale di Cava de’ Tirreni nel 1990 durante la faida di camorra interna alla Nuova Famiglia. Il ragazzo è considerato il “palo” principale della piazza di spaccio e quando venne a sapere che uno dei pusher era stato “cantato”, miniacciò il padre: “Tuo figlio si è cantato uno di noi che vendeva il cotto, stava scritto nel verbale, che se lo è cantato. Se non sta accorto gli tagliamo la testa”. Per coontrollare tutto De Maio leggeva e verificava in prima persona i verbali redatti dai carabinieri delle persone che man mano venivano fermate dai carabineiri dopo l’acquisto della cocaina. Nell’indagine sono finiti anche Ciro Califano e Alfonso Belluno, pusher che si alternavano per orari e turni. Belluno era la persona di riferimento dell’organizzazione mentre Califano, anche lui vicino al clan storico Fezza D’Auria, rispondeva all’altro capo, Vincenzo Pepe. Anche Ivan Pepe, secondo indagini, dall’acquisto di droga per mano di De Maio e Califano, passa poi ad “affiliarsi agli uomini della Lamia”, su diretta richiesta dello stesso “Tor O’ Niro”. Anche per lui, spiccano precedenti per droga e condanne per ricettazione e tentato furto. Gli altri sei coinvolti, destinatari agli arresti domiciliari, sono tutti incensurati e vengono considerati affiliati, in quanto il loro apporto era “gerarchicamente sottordinato, rispetto ai pusher ed ai gestori di riferimento dello spaccio. Non ricevevano denaro, né maneggiavano droga”.

(nella foto controlli dei carabinieri nella zona della Lamia a Pagani, nei riquadri da sinistra Salvatore Di Maio, Salvatore Olivieri, Ciro Califano)


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