Camorra, il pentito Scafuto: ‘La signora Moccia mi chiese di uccidere Caputo e capii che dovevo pentirmi’

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Ci sono ben 16 pentiti che hanno contribuito alla operazione Leviathan che ha permesso di smantellare il nuovo clan Moccia operante nei comuni a Nord di Napoli confinati con la provincia di Caserta. Quarantacinque persone finite tra il carcere, gli arresti domiciliari e con obblighi e altri 34 indagati a piede libero. C’è la storia degli ultimi anni della camorra che ha dominato in tutti i sensi in quella fetta della provincia di Napoli nelle 736 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Tommaso Parella. Tra i 16 pentiti figura anche l’ex “senatore” Salvatore  Scafuto.

Nell’interrogatorio del 5.1.2016  Scafuto ha fornito agli investigatori una chiara e lucida spiegazione della ragione per la quale i Moccia. nonostante l’enorme ricchezza accumulata nel corso del tempo ed il sostanziale disinteresse ormai per i piccoli introiti derivanti delle tradizionali attività estorsive compiute sul territorio (alla cui distribuzione nemmeno partecipavano), non potessero rinunciare ai propri affìliati: il rapporto con “la base” consentiva infatti alla “famiglia” di mantenere il controllo del territorio e di quella struttura organizzativa che, da un lato, ne legittimava il potere economico (ossia la “forza contrattuale” necessaria per il compimento “affari” di maggiore rilievo quali, ad es, appalti pubblici di rilevanti importi, aste giudiziarie, realizzazione di centri commerciali etc.) e, dall’altro, garantiva l’incolumità personale dei relativi componenti (che, diversamente, sarebbe stata messa certamente a repentaglio dall’ aggressione di nuovi gruppi criminali emergenti ovvero dalla repressione giudiziaria agevolata dalla collaborazione con la giustizia degli ex affìliati).E per questo racconta: “Con r(ferimento alle dichiarazioni da me rese ieri sul ‘incontro avvenuto con Franzese Antonio, Piscitelli Ignazio, Piscitelli Gennaro e Rullo Carmine, voglio farle capire che quel mio tentativo di aiutarli a riorganizzare le fila dell’organizzazione sui territori di Casoria, Arzano e Afragola, era stato sostanzialmente richiesto dalla famiglia Moccia, in particolare da Antonio Moccia, Luigi Moccia e dalla stessa signora lv/azza. Loro volevano che con la mia esperienza ed autorevolezza li aiutassi a controllare le attività di questa fascia di soggetti minori (c.d. pesci piccoli) che, se male gestiti, potevano solo creare problemi agli interessi superiori della famiglia Moccia che si identificano con gli appalti di rilievo, le aste giudiziarie, la realizzazione di centri commerciali e il controllo degli stessi e non certo con le estorsioni di 500 euro che potevano fare i “pesci piccoli”. Anche la gestione della droga poteva creare problemi perché in teoria il clan Moccia è contrario. Questi soldi procacciati dai soggetti minori però creano una cassa necessaria per pagare gli avvocati, i carcerati e gli stipendi agli affiliati. I Moccia non prendono i soldi da questa cassa, anzi qualche volta sono loro che li mettono i soldi in questa cassa tant ‘è vero che anche io ho contribuito a mettere i soldi in questa cassa quando la stessa non era sufficientemente piena.
Ma senza questo sistema e cioè senza la presenza sul territorio anche dei soggetti c.d. piccoli, non ci sarebbe poi la possibilità per i Moccia di esercitare il loro potere sugli interessi di maggiore rilievo. Senza questo sistema rischierebbero anche di vedere invaso il loro territorio da parte di altri clan, come stava per succedere negli anni scorsi i Sarno e come rischia di succedere con la Vinella-Grassi di Secondigliano su Arzano. E’ per questo che i Moccia hanno comunque bisogno di gestire e controllare le persone che operano sul territorio. Tornando al mio intervento, mi resi conto che non era facile fare quello che mi era richiesto, perché vi erano frizioni molto forti tra gli affiliati di un certo rilievo dell ‘organizzazione dei Moccia; in particolare, Ciro Casone si voleva
prendere Casoria e per questo aveva tentato di uccidere questo Sabatino che lei mi dice di chiamarsi Felli. Dopo ciò Sabatino si allontanò brevemente mentre Casone si è installato ad Arzano, dove poi l’hanno ammazzato. Per altro verso io mi ero prestato anche. contro voglia a questo compito, e quando poi sono iniziate le pressioni dei Moccia per uccidere Salvatore Caputo di cui ho già riferito, mi sono reso conto che l’unica via di uscita per me, non era quella di scappare, ma di collaborare con la giustizia. Dopo aver ucciso Caputo avrei rischiato di morire anche io ovvero di imbrigliarmi ancora mani e piedi con i Moccia.  Ricordo in particolare che nella conversazione che abbiamo avuto a casa di mia sorella Rafelina, la signora Mazza, accompagnata da sua fìglia Teresa Moccia, mi chiese con forza di uccidere Caputo Salvatore, ribadendo che con il figlio Luigi Moccia, che secondo me era contrario per questo omicidio, se la sarebbe vista lei. Scendendo le scale, ci dicemmo reciprocamente che ci volevamo bene, e lei aggiunse con enfasi la frase “pure io te ne voglio e tu non sai quanto … … Attribuii a questa frase il significato di un suo intervento pregresso a mio favore contro cose brutte nei miei confronti. Posso pensare che si tratti anche degli attentati che ho ricevuto e di cui ho già riferito. In ogni caso ciò mi ha ulteriormente maturato la convinzione di farla finita, di non uccidere Caputo e di iniziare la collaborazione…”.

 Antonio Esposito



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