Omicidio Cutuli: 24 anni di carcere ai due assassini afgani della giornalista del Corriere

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Afghanistan. Ventiquattro anni di carcere. È la sentenza per Mamur e Zar Jan, i due cittadini afgani già condannati in patria per l’omicidio di Maria Grazia Cutuli, l’inviata del Corriere della Sera assassinata in Afghanistan nel novembre del 2001. La sentenza, la prima in Italia sulla vicenda, è stata pronunciata, a sedici anni dalla morte della reporter, dai giudici della Prima Corte d’Assise del tribunale di Roma. In aula c’era anche la sorella della vittima, Donata Cutuli, costituitasi parte civile insieme agli altri famigliari. I due condannati sono in carcere da anni in Afghanistan dove stanno scontando 16 e 18 anni di carcere, mentre un terzo uomo, Reza Khan, fu giustiziato nel 2007 per l’omicidio. La pm Nadia Plastina, titolare del procedimento, aveva chiesto per entrambi gli imputati una condanna a 30 anni di reclusione. Maria Grazia Cutuli morì in un agguato il 19 novembre del 2001 assieme ad altri tre colleghi in Afganistan, lungo la strada che da Jalalabad porta a Kabul. “Un delitto politico e orribile”, commenta a caldo Caterina Malavenda, legale di Rcs. “La condanna in Italia conferma quella comminata all’estero ma ha un altro valore – aggiunge – Avere una sentenza in Italia non restituisce Maria Grazia alla famiglia, ma è di conforto per i parenti perché almeno sanno che lo Stato c’è”. La decisione dei giudici “dà valore al lavoro svolto da una giornalista italiana che ha rappresentato l’Italia all’estero portando avanti il diritto all’informazione per il suo Paese”, dice Paola Tuiller, legale di parte civile per la famiglia.Una sentenza positiva, aggiunge, “anche per l’importante lavoro della Digos, dei Servizi segreti afghani, dell’Ambasciata italiana a Kabul e della procura di Roma”. “Riteniamo che questa sentenza, pur rispettandola e, ci tengo a dirlo con forza, essendo vicino alla famiglia della giornalista, non renda giustizia”, sottolinea Valentina Bevilacqua, legale della difesa che anticipa il ricorso in appello.

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