Omicidio Regeni, a processo gli 007 egiziani che lo torturarono

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Roma. Omicidio Regeni: il processo ai quattro agenti dei servizi segreti che torturarono e uccisero il ricercatore nel 2016 inizierà il 14 ottobre dinanzi alla Corte d’Assise.

Lo ha deciso oggi pomeriggio il gup di Roma, Pierluigi Balestrieri che ha, di fatto, recepito totalmente l’impianto accusatorio del procuratore Michele Prestipino e del sostituto Sergio Colaiocco nei confronti del generale Tariq Sabir ed i suoi sottoposti, gli ufficiali Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Il processo e’ stato fissato per il prossimo 14 ottobre davanti alla terza Corte d’Assise, nei confronti degli imputati le accuse variano dal sequestro di persona pluriaggravato al concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.

Il giudice, in apertura di udienza, ha respinto le istanza presentate dalle difesa in materia di “assenza” degli imputati. A detta del giudice e’ “volontaria” da parte dei quattro 007 la “sottrazione dal processo: la copertura mediatica capillare e straordinaria ha fatto assurgere la notizia della pendenza del processo a fatto notorio”. In aula erano presenti i genitori del ricercatore trovato privo di vita nel febbraio di cinque anni fa. “Paola e Claudio dicono spesso che su Giulio sono stati violati tutti i diritti umani – ha commentato l’avvocato Alessandra Ballerini, legale dei genitori di Regeni -. Da oggi abbiamo la fondata speranza che almeno il diritto alla verita’ non verra’ violato. Ci abbiamo messo 64 mesi, ma quello di oggi e’ un buon traguardo e un buon punto di partenza: finalmente abbiamo l’inizio di una verita’ processuale grazie anche al lavoro di Ros e Sco”. Dal canto loro fonti della procura esprimono “soddisfazione” per la decisione del gup arrivata dopo circa tre ore di camera di consiglio. Nel corso dell’udienza il pm, nel chiedere il rinvio a giudizio, ha sostanzialmente affermato che ora il processo rappresentera’ una nuova “sfida” per “ottenere” che i testimoni, in particolare quelli egiziani, vengano in Italia a raccontare quanto detto nel corso delle indagini.

Per il rappresentate dell’accusa la sfida sara’ anche quella di “arrivare ad una sentenza di colpevolezza se non si riuscira’ a far arrivare i testimoni in aula” anche se “nel corso delle indagini e’ divenuto possibile l’impossibile”. Il riferimento e’ a gli otto testimoni che in questi mesi hanno fornito elementi determinati a ricostruire quanto avvenuto tra il gennaio e il febbraio del 2016 al Cairo. Otto persone che accusano in modo chiaro e credibile i cinque. Da tre testi, in particolare, sono arrivate conferme sul fatto che i servizi segreti cairoti avevano pianificato i depistaggi gia’ nelle ore successive alla morte di Giulio, di cui erano a conoscenza gia’ il 2 febbraio, 24 ore prima del ritrovamento “ufficiale” del corpo, stabilendo di inscenare una rapina finita nel sangue. Uno dei nuovi testimoni ha raccontato che gli 007 sapevano della morte di Giulio dal 2 febbraio e per deviare l’attenzione da loro erano pronti ad “inscenare una rapina finita male”.

    Le accuse contestate dal pm Sergio Colaiocco e dal procuratore Michele Prestipino, vanno, a seconda delle singole posizioni, dal sequestro di persona pluriaggravato, al concorso in omicidio aggravato e le lesioni personali aggravate.

    Sono passati cinque anni dal rapimento di Giulio, torturato e ucciso in Egitto. Cinque anni di indagini sulla morte del ricercatore friulano che la Procura di Roma ha portato avanti nonostante i depistaggi e le mancate risposte del Cairo alle richieste degli inquirenti italiani. Un’indagine partita subito dopo il ritrovamento del corpo di Giulio il 3 febbraio 2016 lungo la strada che dal Cairo porta verso Alessandria, affidata sin dalle prime battute al sostituto procuratore Sergio Colaiocco, prima sotto il coordinamento dell’allora procuratore Giuseppe Pignatone e proseguita poi sotto la guida dell’attuale procuratore capo Michele Prestipino.

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    Un’inchiesta che ha avuto la svolta piu’ importante il 4 dicembre 2018. In quella data la Procura di Roma iscrive nel registro degli indagati cinque 007 egiziani, alti ufficiali dei servizi segreti civili e della polizia investigativa d’Egitto, accusati di sequestro di persona. In questi anni ci sono state decine di incontri proprio tra inquirenti e investigatori italiani e egiziani nel nome del dialogo a cui il Cairo ha risposto con parole formali o silenzi, come sull’ultima rogatoria dell’aprile del 2019 in cui si chiedeva, tra i diversi punti, l’elezione di domicilio dei funzionari della National Security. E anche nell’ultimo incontro in videoconferenza tra inquirenti alla comunicazione della ferma volonta’ della procura di Roma di chiudere le indagini preliminari dall’Egitto attraverso il procuratore generale Hamada al Sawi sono arrivate le riserve ”sulla solidità del quadro probatorio” che ritiene costituito ”da prove insufficienti” per sostenere l’accusa in giudizio.

    Per i magistrati italiani invece non e’ cosi’ e a dimostrarlo sono le accuse formulate nei confronti degli 007 per i quali la Procura di Roma ha chiesto e ottenuto un processo in Italia. Con la chiusura dell’inchiesta del 10 dicembre scorso e la richiesta di processo del 20 gennaio i pm romani contestano al generale Sabir Tariq, ai colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif il sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti di quest’ultimo le lesioni aggravate, essendo stato introdotto il reato di tortura solo nel luglio 2017, e il concorso in omicidio aggravato.



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