Il killer dei Casalesi dopo l’omicidio dell’imprenditore ‘festeggiò’ con lo champagne

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Il killer dei Casalesi dopo l’omicidio dell’imprenditore ‘festeggiò’ con lo champagne.

“Aveva mandato in carcere Francesco Cirillo e suo cugino Alessandro Cirillo e per questo doveva essere punito”. Cosi’ il killer dell’ala stragista del clan dei Casalesi, Giuseppe Setola, nel 2014 raccontava, collegato nell’aula del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, il movente dell’omicidio dell’imprenditore di Castel Volturno, Domenico Noviello. Francesco Cirillo, catturato oggi ad Acerra dopo 2 mesi di latitanza, e cugino del braccio destro di Setola, Alessandro Cirillo, era stato il “movente” di quel feroce delitto. Noviello proprietario di una scuola guida, fu ucciso dal clan a Castel Volturno nel 2008 per vendetta perche’ alcuni anni prima aveva denunciato e fatto condannare per estorsione a 7 anni proprio Cirillo. L’imprenditore, insieme al figlio Massimiliano, sotto scorta dall’omicidio del padre, denuncio’ Cirillo per estorsione nel 2001.

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Durante il suo breve periodo di ‘pentimento’ nel corso del processo, Setola, che prima aveva sempre scagionato Francesco Cirillo, racconto’ al pm Alessandro Milita che “dopo le riunioni che tenemmo per uccidere Domenico Noviello, io dissi a Francesco Cirillo che doveva prepararsi un alibi perche’ altrimenti la colpa sarebbe potuta cadere su di lui, visto che era il maggiore indiziato dopo il suo arresto avvenuto a seguito della denuncia di Noviello.

    Cirillo, infatti, si reco’ in un albergo sulla Domitiziana e si fece fare una fattura falsa sia per il giorno dell’omicidio che per quello seguente. Dopo l’omicidio Francesco Cirillo festeggio’ con una bottiglia di champagne”. Il processo a Francesco Cirillo per l’omicidio di Noviello era stato un iter lungo e con colpi di scena. In primo grado, infatti, era stato condannato all’ergastolo come gli altri partecipanti al delitto, ma poi era stato l’unico ad essere assolto in Appello. Dopo l’assoluzione, la Corte di Cassazione aveva annullato la sentenza, rinviando a un’altra sezione della Corte di Appello di Napoli che ridetermino’ la pena e, a novembre scorso, alla pronuncia della Cassazione con la condanna a 30 anni di carcere.



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