Altro rinvio causa Covid per il processo per la strage della Solfatara

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Altro rinvio causa Covid per il processo per la strage della Solfatara: l’udienza per la requisitoria dei Pm slitta al 16 ottobre. Poi andranno calenderizzate anche le altre due udienze riservate alle difese.

Slitta ancora, stavolta direttamente in autunno, sempre causa coronavirus, il processo per il disastro della Solfatara costato la vita alla famiglia veneziana dei Carrer, assistiti da Studio3A:l’attesa sentenza, dunque, arriverà ormai verso fine anno. L’importante udienza,giàin programma il 4 marzo, avanti al giudice del Tribunale partenopeo, ottava sezione penale, dott.ssa Egle Pilla, in cui era previstala requisitoria con la richiesta delle pene da parte della Procura di Napoli, era già stata rinviata una prima volta al 18 marzo per l’astensione dalle udienze fino all’11 marzo decisa dal locale Ordine degli Avvocati per l’emergenza sanitaria. Successivamente, con il blocco dei tribunali a seguito delle misure sempre più restrittive introdotte dal Governo per arginare la diffusione del virus, si era reso necessario un nuovo procrastinamento e l’udienza era stata rimandata al 12 di giugno. Ma in settimana è stato notificato alle parti un ulteriore rinvio, al 16 di ottobre, dalle ore 9, anche in forza del fatto che, essendo molti i soggetti coinvolti, sarebbe difficile garantire le tuttora vigenti norme di distanziamento sociale in aula.

    Considerato che poi andranno ri-calendarizzare anche le due udienze per la discussione delle difese, che prima della pandemia erano state fissate per il 26 marzo e l’8 aprile, se la tabella di marcia dei lavori sarà rispettata, e non sarà ravvisata la necessità di ulteriori attività istruttorie, il verdetto sarà pronunciato ad autunno inoltrato.

    Com’è noto, allasbarra ci sono i vertici della “Vulcano Solfatara srl”, la società che gestisce il sito naturalistico di Pozzuoli (da allora chiuso) dove il 12 settembre 2017 persero la vita durante una visita turistica i coniugi veneziani Massimiliano Carrer e Tiziana Zaramella eil loro figlioletto Lorenzo, inghiottiti uno dopo l’altro da una voragine apertasi sotto i loro piedie soffocati dai gas del sottosuolo. Sopravvisse solo il figlioletto più piccolo dei Carrer, che ha assistito impotente al dramma e oggi vive con la zia. I familiari delle vittime, tramite l’area manager Riccardo Vizzi, si sono affidati a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, e sono già stati risarciti in sede civile, ma ora si attendono giustizia anche sul fronte penale, dove sono assistiti dagli avvocati Vincenzo Cortellessa, del foro di Napoli, e Alberto Berardi, del Foro di Padova, sempre in collaborazione con Studio3A.

    Per l’immane tragedia i Pubblici Ministeri titolari del relativo procedimento penale, le dott.sse Anna Frasca e Giuliana Giuliano, hanno indagato, chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio per Giorgio Angarano, 72 anni di Pozzuoli, legale rappresentante della “Vulcano Solfatara srl”, e per sei soci: Maria Angarano, 74 anni di Pozzuoli, Maria Di Salvo, 70 anni, di Pozzuoli, l’omonima Maria Di Salvo, 41 anni, di Napoli, Annarita Letizia, 71 anni, di Pozzuoli, e Francesco Di Salvo, 44 anni, di Napoli. A giudizio anche la stessa società in persona del suo legale rappresentante.

    Ai sette imputati sono contestati reati pesantissimi per i quali sono previsti svariati anni di reclusione: di qui la scelta del rito abbreviato che darà loro diritto alla riduzione di un terzo della pena. In primis, quelli di omicidio colposo in concorso (artt. 113 e 589 comma 1 c.p.), con l’aggravante di essere stato commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 589 comma 2) e ai danni di più persone (art. 589, comma 4), e ancora di disastro colposo e di delitti colposi di danno, sempre in cooperazione tra loro (artt. 113, 434 e 449 c.p.). Sono accusati di aver causato il decesso dei tre turisti “per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nell’aver gestito il sito vulcanico”, classificato dalla Commissione Grandi rischi “in zona rossa”, “in assenza di qualsiasi cautela idonea ad assicurare che l’attività turistico-ricettiva fosse svolta in modo da garantire la sicurezza dei lavoratori dipendenti e dei terzi visitatori”.



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