Fine pena mai per El Chapo: dovrà pagare anche una multa di 12,6 miliardi di dollari

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Ergastolo, più un’altra pena simbolica di 30 anni, e una multa miliardaria. Finisce così l’epopea giudiziaria e criminale del signore della droga messicano più famoso al mondo, Joaquin ‘El Chapo’ Guzman. Ex capo del potente cartello di Sinaloa, 62 anni, finirà i suoi giorni in carcere per decisione del tribunale federale di Brooklyn. Il giudice newyorkese Brian Cogan lo ha condannato anche a pagare 12,6 miliardi di dollari, una stima delle entrate derivanti dal narcotraffico negli Stati Uniti. Colui che ha influenzato romanzi e film, secondo per fama solo al colombiano Pablo Escobar, è stato condannato a febbraio per dieci capi d’accusa, tra cui il traffico di centinaia di tonnellate di cocaina, eroina, metanfetamine e marijuana negli Usa. Durante il processo di tre mesi a New York i giurati hanno ascoltato le testimonianze di 56 testimoni dell’accusa, con molti che descrivevano con esattezza quanto subito dai boss del cartello, che picchiavano, sparavano e seppellivano ancora vivi nemici e rivali. “Qui non c’è giustizia”, ha detto in aula ‘Il corto’, per via del suo metro e 67 cm di altezza, ringraziando i suoi sostenitori che gli hanno dato “la forza di sopportare questa grande tortura”, “una delle più disumane che abbia mai vissuto”. Dalla sua estradizione dal Messico nel 2017, Guzman è stato tenuto in isolamento in una prigione di massima sicurezza a Lower Manhattan e si è ripetutamente lamentato tramite i suoi avvocati delle condizioni di detenzione, in particolare per la sua cella senza finestre con la luce costantemente accesa. El Chapo, che ha iniziato la sua carriera lavorando nei campi di cannabis del suo Stato natale, il Sinaloa, è stato arrestato la prima volta nel 1993 appena oltre il confine in Guatemala. Era fuggito dal Messico dopo l’assassinio del cardinale cattolico Juan Jesus Posadas Ocampo, morto sotto una pioggia di proiettili mentre stava lasciando l’aeroporto in una macchina identica a quella usata da Guzman, pare perchè scambiato per il boss dai rivali del cartello di Tijuana. Condannato a 20 anni di carcere per omicidio e traffico di droga, ha continuato a tenere gestire gli affari da dietro le sbarre e nel 2001 è evaso da un carcere di massima sicurezza in un carrello di biancheria sporca con l’aiuto di complici corrotti, tra cui il direttore della prigione e le guardie. Latitante per 13 anni, ha costruito un impero negli Usa arrivando a controllare un quarto del narcotraffico. Nel 2014 le autorità messicane lo rintracciano in un condominio nella città balneare di Mazatlan, nel Sinaloa, con la moglie e le loro figlie gemelle e lo arrestano con tanto di manette a favore di telecamere che rilanciano le immagini in tutto il mondo. Ma l’anno successivo fugge di nuovo, grazie a un tunnel di 1,5 km scavato dai suoi sodali fino a sotto la doccia della sua cella. Viene ricatturato a gennaio 2016 sempre nel Sinaloa, dopo una fuga attraverso il sistema fognario, tradito dal suo desiderio di realizzare un film biografico per cui era in contatto con un’importante attrice e produttori messicani. L’ottobre precedente aveva fatto clamore l’incontro clandestino nella giungla con l’attore americano Sean Penn. Nel gennaio 2017 viene estradato negli Stati Uniti, il processo parte nel novembre scorso con l’accusa di aver co-diretto il cartello di Sinaloa per un quarto di secolo, tra il 1989 e il 2014.


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