Violenze nel reparto Nilo, 45 tra comandanti e agenti rischiano l’arresto

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Santa Maria Capua Vetere. Mattanza nel reparto Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere: i vertici della polizia penitenziaria rischiano il carcere per la morte del detenuto algerino, morto a seguito dei pestaggi. I pm chiedono al Riesame l’aggravamento delle misure cautelari per 45 indagati.

Il procuratore aggiunto Alessandro Milita e i sostituti procuratori Daniela Pannone e Alessandra Pinto hanno presentato un ricorso per quarantacinque indagati per i quali il Gip aveva escluso alcuni capi di imputazione e aggravanti rigettando la relativa richiesta di misura cautelare o concedendo una misura diversa e meno afflittiva da quella proposta dagli inquirenti, in particolare in relazione alla morte del detenuto algerino Lakimi Hamine, classificata dal giudice come suicidio e che invece ora i pm ora hanno inquadrato nel reato di omicidio colposo. Per 15 indagati la Procura ha così chiesto il carcere, per 30 i domiciliari. Il Gip il 28 giugno scorso, emise 52 misure cautelari nei confronti di agenti penitenziari e funzionari del Dap su un totale di 120 indagati: otto finirono in carcere, altri 18 indagati ai domiciliari, tre all’obbligo di dimora e 23 furono stati sospesi dal servizio. Il prossimo 15 dicembre il giudice è chiamato a pronunciarsi sulle richieste di rinvio a giudizio formulate nei confronti di 108 indagati, tra agenti e funzionari dell’amministrazione penitenziaria.

Tra coloro che rischiano il carcere vi sono i vertici della Polizia penitenziaria e i comandanti del gruppo di Supporto interventi.

    La Procura sammaritana, infatti, ha chiesto l’arresto in carcere tra gli altri per: Pasquale Colucci, comandante del gruppo di ‘Supporto agli interventi’, Anna Rita Costanzo, commissario capo responsabile del reparto Nilo, l’ex comandante della Polizia Penitenziaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere Gaetano Manganelli, il sovrintendente Salvatore Mezzarano, da qualche giorno posto ai domiciliari dopo alcuni mesi passati in carcere. Tra i 30 indagati per i quali la Procura ha invece chiesto i domiciliari vi è l’ex provveditore regionale alle carceri Antonio Fullone, che a giugno fu colpito dalla misura interdittiva della sospensione dal lavoro per sei mesi per il reato di depistaggio. La Procura ha fatto appello nei confronti dell’ex provveditore, ritenendo che Fullone, contrariamente a quanto disposto dal Gip, fosse colpevole anche del reato di maltrattamenti mediante omissione, ovvero per non aver fatto nulla per impedire le violenze. 

    Come Fullone rischia i domiciliari per lo stesso motivo la funzionaria Maria Parenti, che il 6 aprile 2020 sostituiva alla direzione del carcere il direttore Elisabetta Palmieri, assente in quel periodo per malattia, mentre per i medici Raffaele Stellato e Pasquale Iannotta (entrambi solo indagati), in servizio al carcere il giorno delle violenze, sono stati richiesti i domiciliari per il reato di falso, escluso a giugno dal Gip. Ai domiciliari potrebbero finire anche Tiziana Perillo, comandante del Nucleo Operativo Traduzioni e Piantonamenti di Avellino, Nunzia Di Donato, comandante del nucleo operativo ‘Traduzioni e piantonamenti’ di Santa Maria Capua Vetere, e altri agenti solo sospesi a giugno. In caso che il Riesame accolga l’Appello del Pm, la decisione su eventuali arresti non sarà subito esecutiva, ma dovrà passare per la Cassazione.

    Sotto il profilo delle misure cautelari, l’indagine ha retto tanto al Tribunale del Riesame di Napoli che alla Corte di Cassazione, dove la gran parte delle misure emesse dal Gip nel giugno scorso sono state confermate per quanto concerne i gravi indizi di colpevolezza, e le modifiche sono avvenute solo per mancanza di esigenze cautelari; si spiega cosi’ la circostanza che ad oggi non vi sono più agenti e funzionari in carcere ma solo ai domiciliari. A reggere soprattutto il reato di tortura, introdotto solo da qualche anno, e che molti avvocati hanno provato a metter in discussione. Mariano Omarto, legale del 48enne Raffaele Piccolo (ai domiciliari), ha chiesto invano agli ermellini di valutare la sussistenza di tale reato alla luce del fatto che è difficile che degli “schiaffi possano infliggere quelle ‘acute sofferenze fisiche’ o quell’agire con ‘crudelta” che costituiscono i requisiti che la norma richiede per configurare il reato di tortura”. Il suo ricorso e’ stato dichiarato inammissibile. Violenze in carcere: al Riesame le posizioni di 45 indagati

    L’udienza sul ricorso davanti al Tribunale del Riesame di Napoli si terrà il 26 novembre prossimo.

    Il Comunicato del Sippe.
    Sul ricorso per le misure cautelari è intervenuto il sindaco degli Agenti di polizia penitenziaria (Sippe) con un comunicato. “Riteniamo che fino a quando non ci sarà il terzo grado di giudizio tutti i poliziotti penitenziari coinvolti debbano essere considerati innocenti. La situazione è stata portata alla stampa in modo totalmente esagerato, al punto da condannare gli agenti a prescindere senza tenere conto che nel carcere di Santa Maria Capua Vetere continuano ad esserci aggressioni e minacce nei confronti dei poliziotti penitenziari. Minacce che però non interessano al garante dei detenuti, che si è solo limitato a descrivere una situazione vista soltanto da immagini che non costituiscono una prova. Basti pensare che addirittura, quando ci sono stati gli arresti,

    avevano incriminato un collega nemmeno presente durante i fatti e solo
    perché un detenuto aveva fatto il suo nome”. Ha detto Alessandro De Pasquale, presidente del Sippe, commentando la richiesta di rinvio a giudizio di 108 tra agenti e funzionari dell’amministrazione penitenziaria per il pestaggio nell’istituto di reclusione campano.
    “Non è che i poliziotti penitenziari sono stati individuati attraverso
    le immagini – sottolinea il sindacalista – La maggior parte è stata
    citata proprio da alcuni detenuti. Soggetti che hanno un risentimento
    verso la forza di polizia in generale e verso alcuni agenti penitenziari che magari qualche giorno prima non gli hanno concesso qualcosa all’interno dell’istituto. Siamo fiduciosi nella magistratura, ma tutto quello che si è detto su questi poliziotti penitenziari è esagerato, a cominciare da quanto scritto sui social in merito dallo stesso garante dei detenuti. Per poter conoscere i fatti bisognava esser presenti, non basarsi su immagini nemmeno chiare o su dichiarazioni fatte da detenuti. Certamente i poliziotti non sono stati tutti corretti, ma non possiamo giudicare tutto un Corpo sulla base di azioni fatte da alcuni”.



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