Stefano Pigolotti: l’importanza della formazione continua in azienda

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La formazione è importante per entrare e restare all’interno del mondo del lavoro? Abbiamo chiesto a Stefano Pigolotti, professional coach, di illustrarci l’importanza della formazione continua in azienda.

Secondo un recente rapporto che analizza esattamente questo aspetto, nel Sud Italia i lavoratori formati hanno più probabilità di restare all’interno del mondo del lavoro di quanto non ne abbiano i lavoratori non formati. Nel Nord Italia invece fa la differenza ricorrere frequentemente a professionalità e competenze esterne all’azienda, sfruttando le figure dei consulenti e dei freelance, che si rivelano strategiche nei processi di innovazione, o addirittura determinante, come nel caso delle Pmi.

L’estensione della formazione continua a tutti i lavoratori – spiega Pigolotti – specialmente se è formazione finanziata, è la soluzione migliore e con maggiore efficacia per rispondere alle trasformazioni del mercato del lavoro, nel breve e medio periodo, legate all’introduzione del digitale e i processi di sostituzione o di integrazione del lavoro dell’uomo con il lavoro delle macchine. Restano esclusi dai fondi Interprofessionali, che finanziano la formazione per i dipendenti, i lavoratori atipici e i lavoratori non subordinati. I lavoratori atipici, l’esercito delle partite Iva, gli iscritti alla gestione separata dell’Inps e i professionisti senza albo professionale in alcuni casi hanno l’opportunità di accedere ai bandi finanziati dal fondo sociale europeo.

In merito alla formazione finanziata, le regioni hanno competenze esclusive, di conseguenza è possibile trovare a livello legislativo nazionale solamente la tendenza dell’azione legislativa verso una complementarietà del FSE con quello dei fondi privati. La spesa delle regioni per l’anno 2017, secondo una ricerca sulla Formazione Professionale di CNOS-FAP (Centro Nazionale delle Opere Salesiane per la Formazione e Aggiornamento Professionale) e realizzato da Noviter, è stata pari a 1.830.000.000 euro.

La spesa è molto frammentata fra le varie regioni, e l’investimento sulle politiche attive del lavoro supera quella sulla Formazione Professionale: un miliardo contro 830 milioni di euro. In ciò hanno influito due fattori: la programmazione 2014-2020 dei Fondi Comunitari e l’attivazione di uno specifico programma destinato ai giovani NEET, la Garanzia Giovani, e il quadro normativo nazionale mdificato dal Jobs act.

    Nella pubblicazione edita da Rubbettino intitolata “Politiche della formazione professionale e del lavoro-analisi ragionata degli interventi regionali” emerge la “fotografia” di un Paese con soluzioni adottate ancora troppo frastagliate: 108 linee di intervento relative alle politiche attive del lavoro. Eugenio Gotti, ceo di Noviter che ha diretto la ricerca, evidenzia alcune chiavi di lettura nelle scelte regionali: “Innanzitutto, le Regioni hanno investito nelle politiche attive del lavoro, più che nella formazione, a conferma di un crescente bisogno dei cittadini di poter avvalersi di servizi di supporto all’inserimento o reinserimento lavorativo. Per quanto riguarda invece le attività formative, le risorse sono concentrate sulla cosiddetta ‘prima formazione’ per i giovani”.

    Secondo una ricerca del World Economic Forum, diffusa in coincidenza con l’accordo che Cgil Cisl Uil hanno firmato con Confindustria Emilia Area Centro sulla formazione professionale per l’industria 4.0, entro il 2025 i robot creeranno 133 milioni di nuovi posti di lavoro, a fronte dell’automazione di 75 milioni di mansioni. Il saldo sarà positivo per 58 milioni di nuovi posti, a patto che i lavoratori coinvolti siano specializzati. Proprio per questo è necessario diffondere il più possibile nelle aziende piani formativi che rafforzino le competenze e conoscenze professionali dei lavoratori per renderli sempre più preparati alle innovazioni tecnologiche in atto. In Germania, applicando questo paradigma in modo massiccio tra il 2011 e 2016, l’occupazione è aumentata dell’1 per cento annuo. In Italia è possibile fare lo stesso, considerando che il piano nazionale per l’industria 4.0 e la legge di bilancio 2018 concedono un credito d’imposta alle imprese che investono in conoscenza e innovazione.


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