Ribery a DAZN: “Salerno bella città, vive per il calcio. L’Arechi? Speciale”

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Franck Ribery, attaccante della Salernitana, ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni di Linea Diletta, il format di DAZN condotto da Diletta Leotta.

SU SALERNO E LA SALERNITANA
“È una bella città, qui si vive per il calcio. Prima di venire qua ho cercato informazioni sulla Salernitana e su Salerno perché non ne sapevo molto. Poi, quando sono arrivato, il calore della gente mi ha ricordato la Francia. Anche da noi le persone vivono per il calcio, vivono per la loro passione. E anch’io sono così e per questo motivo sono venuto qua. Anche se ho vinto tutto nella mia vita e ho 39 anni, mi sento ancora un bambino: mi piace il calcio e vivo per quello.

LO STADIO ARECHI E IL RAPPORTO COI TIFOSI
“L’Arechi è un po’ speciale. Non è uno stadio troppo grande, ma si fa sentire: ti dà qualcosa di diverso rispetto a tanti grandi stadi che ho conosciuto nella mia carriera. I tifosi sono vicini ai giocatori, si fanno sentire dal primo all’ultimo minuto. Io faccio sempre il massimo per loro: fanno tanti sacrifici ogni settimana, portano la famiglia e i bambini allo stadio. Loro vivono per il calcio, anche io. Quando c’è un rapporto positivo con i tifosi sono contento. Quando faccio una buona partita vado a casa tranquillo perché so che la città, all’indomani, quando si sveglia parlerà della partita. So cosa significa per un tifoso vincere o perdere. Quando perdiamo sto malissimo perché so quanto ci tengono. Ho sentito fin da subito il calore della gente di Salerno, fin da quando sono arrivato. Mi ha dato la forza, la motivazione. Mi piace lavorare e dare il massimo, ma quando c’è anche questa vicinanza col pubblico, è questo che fa la differenza per continuare a lavorare e a credere nel nostro obiettivo”.



    SULLA MENTALITÀ
    “Dopo 20 anni di carriera qualche acciacco si sente. Ho corso tanto, ho viaggiato tanto, ho giocato tante partite. Ma la fame, la mentalità e la passione rimangono: quelle o ce le hai o non ce le hai. È vero che oggi non vado più veloce come quando ero giovane. Però la mentalità resta. Io ho rispetto per la maglia, voglio che a fine partita sia sudata. Al mattino quando mi sveglio sono contento di andare all’allenamento. Quando giochiamo le partitelle in allenamento voglio sempre vincere: è fondamentale, questo significa avere mentalità, avere fame”.

    IL RAPPORTO COI GIOVANI
    “Mi piacciono i giovani quando sono intelligenti, quando ci credono, quando lavorano e hanno fame. Ne ho conosciuti tanti di talento, ma senza grinta. Io ai giovani cerco sempre di dare una mano e di aiutarli a diventare campioni. Ad esempio, per me Alaba è come un fratello: l’ho conosciuto a 16 anni e oggi è un campione. La prima volta mi ha visto con una bella macchina e un bell’orologio, gli ho detto ‘non pensare alla macchina e all’orologio, pensa a lavorare e a fare tanti sacrifici. Poi piano piano arriveranno la macchina, l’orologio e tutto il resto’. Lui è stato intelligente e oggi parliamo di un giocatore che ha vinto tanti trofei”.

    “Anche Vlahovic ha la mentalità giusta, è uno che lavora duro. Nel 2006, quando ho giocato con grandi campioni in Nazionale, giocavo con giocatori di 10 anni più grandi come Zidane e Thuram. Ho fatto un po’ il furbo e ho osservato come si comportavano, perché erano grandi campioni”.

    “Thuram e Zidane quando ero giovane mi dicevano sempre ‘il tempo va veloce’, io gli dicevo ‘che dici’. Avevo 24 anni e non ci pensavo, poi quando te ne rendi conto hai già 35-36 anni. È vero, la carriera va veloce: per questo devo approfittare ogni giorno quando sono al campo ad allenarmi”.

    DOPO IL RITIRO
    “Sì, mi piacerebbe fare l’allenatore un giorno. Per ora non ci penso ancora perché voglio giocare, mi sento bene. Non so ancora cosa farò il prossimo anno, ma finché potrò dare qualcosa ai tifosi continuerò a giocare. Però il ruolo dell’allenatore mi piace, amo stare vicino ai giocatori come ho fatto un po’ negli ultimi 5-6 anni, soprattutto qui alla Salernitana ma anche a Firenze”.

    SULLA STANDING OVATION DI SAN SIRO NEL 2019
    “Milano e San Siro hanno conosciuto tanti grandi campioni. Quando hanno fatto la standing ovation per me mi ha fatto piacere, mi ha toccato, è un momento che non posso dimenticare”.

    SUL BAYERN MONACO
    “Mi sento più a casa a Monaco di Baviera che in Francia. Non so perché, me lo sento così, è una cosa più privata. Nel 2012 abbiamo perso tutto: Coppa di Germania, secondi in campionato, finale di Champions League persa in casa col Chelsea. È stata dura, le vacanze sono state un disastro incredibile. E l’anno dopo invece abbiamo vinto tutto: questo è il calcio. Si vive per queste emozioni, è per questo che il calcio è bello”.

    SULL’AMORE PER GLI ASSIST
    “In tanti mi dicono ‘perché non calci di più’. Potrei, ma a me piace fare assist e vedere il mio compagno contento. Non so, forse sono un po’ pazzo ma semplicemente questo è ciò che ho dentro: mi piace vedere i miei compagni di squadra felici”.

    SUL CREDERCI SEMPRE
    “Il mio percorso non è stato semplice, ho sempre avuto il sogno di diventare professionista. Mai però mi sarei immaginato di giocare con Zinedine Zidane: nel 1998 vedo la Francia diventare campione del mondo, io ero in strada a festeggiare e solo qualche anno più tardi ero insieme a quegli stessi giocatori al Mondiale di Germania. Questo è il bello della vita: quando ci credi e quando fai dei sacrifici arrivi sempre al tuo obiettivo”.

    SUL MONDIALE SENZA L’ITALIA
    “È un peccato vedere la Coppa del Mondo senza l’Italia, è triste. Ma bisogna sempre guardare avanti anche se è difficile per tutti. L’Italia è l’Italia, rimane una grande nazionale e rimane un grande Paese”.

    SU RELIGIONE, FAMIGLIA E UN RICORDO DELL’INFANZIA
    “La religione per me è un rapporto tra me e Dio. Metto sempre un hashtag su Instagram, #ElHamdoulillah. Vuol dire ‘tutto a posto’, anche quando le cose vanno male è un modo per andare avanti. Nella vita ci sono i momenti difficili, ma bisogna sempre andare avanti”.

    “Mio figlio Seif ha il numero 7 come me, ma a differenza mia è mancino. Gioca nelle giovanili del Bayern Monaco. Vive di calcio, è innamorato di questo sport. È forte, ma l’importante è che si diverta e che sia felice. Da piccolo l’ho sempre portato con me allo stadio e nello spogliatoio. Ha capito come funziona il mondo del calcio e gli piace. È un po’ più triste degli altri per il fatto che non sono a casa, per lui è un po’ più difficile rispetto ai fratelli”.

    “Se avessi un tasto per tornare indietro tornerei nel mio quartiere. Sotto il mio palazzo c’era un piccolo campo da calcio, giocavamo tutta la sera e fino a notte fonda, anche fino alle 2 e alle 3 del mattino. Era bello, mi vengono sempre i brividi a pensarci”.

    QUELLA VOLTA CHE STAVA PER LASCIARE IL CALCIO
    “C’è stato un momento in cui stavo per lasciare il calcio, è stato un momento difficile. Ero a 1000 km da casa, giocavo in Serie C nel sud della Francia (nell’Olympique Alès, stagione 2002/03, ndr) e la società non aveva più soldi. Ad aprile abbiamo smesso di giocare, un mese e mezzo prima della fine del campionato. Ho dovuto lavorare tre mesi per pagare alcuni debiti, non ricordo quanti soldi erano, forse 1000 euro ma quando non hai tanti soldi anche 100 euro sono importanti.

    LA GAG PIÙ DIVERTENTE
    “La gag più bella che ho mai fatto risale ai tempi del Bayern Monaco. Eravamo in ritiro a Dubai. Ho preso il pullman della squadra, mi sono messo alla guida, ma ho preso il muro e ho danneggiato la carrozzeria. Dopo ho chiesto scusa a Uli Hoeness (presidente del Bayern all’epoca, ndr) e ho chiesto di pagare io i danni”.



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