Ergastolo al boss mafioso Madonia per gli omicidi di Agostino e della moglie

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Omicidio dell’agente Agostino e della moglie: condannato all’ergastolo il boss Antonio Madonia, a giudizio Scotto e un amico del poliziotto ucciso.

A 32 anni dal duplice omicidio il Gup del Tribunale di Palermo, Alfredo Montalto, ha condannato all’ergastolo Madonia e rinviato a giudizio Gaetano Scotto quale complice del delitto e Francesco Paolo Rizzuto per favoreggiamento personale nei confronti dei primi due.

La sera del 5 agosto 1989 l’agente della polizia di Stato Antonino Agostino e la giovane moglie Giovanna Ida Castelluccio furono uccisi a colpi di arma da fuoco davanti all’ingresso dell’abitazione estiva della famiglia Agostino, a Villagrazia di Carini in provincia di Palermo. A sparare furono due killer giunti in sella ad una moto di grossa cilindrata, successivamente rinvenuta parzialmente bruciata non distante dal luogo dell’eccidio. La signora Castelluccio era incinta.

Le indagini si rivelarono sin da subito particolarmente complesse, principalmente per alcune evidenti anomalie. In primo luogo, risultava assente un qualsiasi movente plausibile. Dalle prime investigazioni e in specie dalle dichiarazioni dei suoi ‘superiori’, Antonino Agostino era un agente addetto al servizio ‘volanti’ del Commissariato di Palermo – San Lorenzo, che non aveva mai svolto attività investigativa né, tantomeno, ricoperto incarichi sensibili. Nel corso delle indagini ci furono anche alcuni despitaggi infatti furono distrutti alcuni manoscritti di Agostino rinvenuti nel corso di una perquisizione eseguita dopo il duplice delitto.



    La verità sul duplice omicidio è stato ostacolato anche dalla iniziale reticenza di vari soggetti informati della segreta operatività di Agostino nell’ambito di una struttura di intelligence, nonché dall’assenza di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, indici del regime di segretezza che aveva caratterizzato la vita della vittima e le ragioni della sua uccisione che dovevano restare occulte anche all’interno di cosa nostra.

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    Nella complessa ricostruzione della Procura generale di Palermo, basata sulle indagini condotte dalla Dia e su inedite dichiarazioni di collaboratori di giustizia, di persone informate, su intercettazioni e su risultanze investigative acquisite nell’àmbito di un’attività di coordinamento con altre Procure della Repubblica, è emerso che l’agente Agostino, assolveva anche ‘mansioni coperte’, insieme ad esponenti di spicco dei Servizi di sicurezza ed apparentemente finalizzate alla ricerca di latitanti di mafia.

    Sono state acquisite, in particolare, dichiarazioni da parte di alcuni collaboratori di giustizia sugli esecutori materiali del delitto, indicati in Gaetano Scotto e Antonino Madonia, nonché in ordine al movente, che si è rivelato di peculiare complessità, poiché ambientato nel torbido terreno di rapporti opachi tra componenti elitarie di cosa nostra ed alcuni esponenti infedeli delle Istituzioni.

    E’ emerso, nella ricostruzione della Procura Generale ora al vaglio del gup, che Agostino faceva parte, insieme a Piazza Emanuele, Aiello Giovanni (il c.d. mostro), Paolilli Guido (anche lui Agente della Polizia di Stato e mèntore dello stesso Agostino, che aveva provveduto a reclutare), ed altri componenti allora apicali dei Servizi di sicurezza, di una struttura di intelligence che, in fase di reclutamento, veniva rappresentata con finalità di reclutamento come ricerca latitanti, ma che in realtà si occupava di gestire complesse relazioni di cointeressenza tra alcuni infedeli appartenenti alle Istituzioni e l’organizzazione criminale cosa nostra. E’ emerso, anche, da molteplici prove, che Agostino aveva, nell’ultima parte della sua vita, compreso le reali finalità della struttura cui apparteneva (alla quale aveva offerto una pista molto seria – legata a familiari della moglie – per arrivare alla cattura di Salvatore Riina a San Giuseppe Jato), e se ne era allontanato poco prima del suo matrimonio, fatto che era stato il motivo della decisione di uccidere lui e la moglie.

    In particolare, sono oggetto della istruttoria compiuta rapporti di appartenenti alle Istituzioni con Madonia, incontrastato capo del mandamento di Resuttana, e Scotto, anche lui appartenente allo stesso mandamento e da sempre indicato come trait d’union con appartenenti ai Servizi di sicurezza.Le prove raccolte riguardano non solo dichiarazioni di collaboratori di provata fede (come Vito Galatolo, Giovanni Brusca, Francesco Marino Mannoia, Francesco Di Carlo, Giuseppe Marchese, Francesco Onorato) ma anche di testimoni vicini ad Agostino, come colleghi e familiari. Ulteriori conferme sono scaturite dalle intercettazioni telefoniche, che hanno dimostrato il coinvolgimento della struttura in alcuni importanti depistaggi.

    Dalle indagini condotte dalla DDA di Palermo e acquisite dalla Procura Generale, sono emersi anche rapporti di Agostino con Giovanni Falcone nella fase in cui questi stava conducendo indagini delicatissime sulla ‘pista nera’ per l’omicidio del presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella. Nel contesto delle nuove indagini è emersa la figura di Francesco Paolo Rizzuto, detto ‘Paolotto’, nell’anno 1989 ancora minorenne, amico personale di Antonino Agostino. Rizzuto, al momento del duplice omicidio, si trovava sul posto e la notte precedente aveva partecipato con Antonino ad una battuta di pesca. Successivamente, i due avevano dormito presso l’abitazione estiva degli Agostino a Villagrazia di Carini. La mattina dopo, Agostino si sarebbe recato in ufficio, mentre Rizzuto si sarebbe attardato presso gli Agostino.

    In merito, è stato grazie alle tenaci investigazioni condotte dalla Dia di Palermo che è stato possibile raccogliere prove, attraverso attività tecniche riservate, che ora sono al vaglio del gup, sul fatto che Rizzuto, in più occasioni, abbia reso dichiarazioni false, contraddittorie e reticenti in ordine a quanto accaduto nel giorno e nel luogo in cui fu commesso il delitto ed, in generale, su quanto a sua conoscenza (tale è la contestazione della Procura Generale).Tramite intercettazioni, risulta che lo stesso ha dichiarato ad un proprio congiunto di aver visto Agostino a terra sanguinante e di essersi sporcato la maglietta indossata piegandosi sul corpo ormai esanime dell’amico, per poi fuggire buttando via l’indumento, precisando di non aver mai riferito tale circostanza quando venne sentito, poco dopo l’omicidio, dagli organi inquirenti. Per tale motivo Francesco Paolo Rizzuto è stato iscritto dall’autorità giudiziaria per favoreggiamento personale aggravato.


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