Cronaca Giudiziaria

Minacce a Saviano e Capacchione: chieste 3 condanne

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Un anno e mezzo nei confronti di ciascun imputato.

Questa la richiesta di condanna del pm di Roma, Alberto Galanti, nel corso del processo a Roma al boss del clan dei Casalesi, Francesco Bidognetti, e agli avvocati, Michele Santonastaso e Carmine D’Aniello, per le minacce rivolte in aula a Napoli, nel 2008, a Rosaria Capacchione e allo scrittore Roberto Saviano. L’accusa e’ di minacce aggravate dal metodo mafioso. “Rosaria Capacchione e’ stata una spina nel fianco dei clan dei Casalesi e Roberto Saviano con il suo libro ‘Gomorra’ ha acceso i fari sulla provincia di Caserta: questo per una consorteria mafiosa – ha detto nella requisitoria il pm Alberto Galanti – e’ un colpo al cuore. Entrambi erano da considerare nemici giurati del clan dei Casalesi”.

Nel procedimento si sono costituite parte civile la Federazione Nazionale della Stampa, rappresentata dall’avvocato Giulio Vasaturo, e l’Ordine dei giornalisti della Campania. Per questa vicenda 2017 era stata dichiarata nulla la sentenza di primo grado dalla Corte di Appello di Napoli per incompetenza territoriale e il procedimento e’ stato trasferito a Roma.

Secondo la ricostruzione del pm Galanti la storia che vede minacciati Saviano e Capacchione inizia a marzo del 2008, nel corso delle arringhe della difesa al processo Spartacus, davanti alla corte d’assise d’appello di Napoli. Quando toccò all’avvocato Michele Santonastaso questi lesse un documento che conteneva un’istanza di legittimo sospetto che, in realtà, era un proclama del clan dei casalesi contro i due giornalisti, “rei” di aver seguito la cronaca di quella che viene considerata una delle organizzazioni criminali più feroci al mondo. Era un attacco evidente anche ai magistrati Federico Cafiero de Raho e Raffaele Cantone.

Saviano quando venne in tribunale a testimoniare spiegò: “La ricusazione letta dall’avvocato in quell’aula era importante e grave, era una minaccia perché portava la firma di due boss del calibro di Francesco Bidognetti e Antonio Iovine”. Allora lo scrittore aveva 26 anni. “Avere la scorta non è un merito e non è un privilegio, è un dramma – disse – In tutti questi anni ho vissuto spostandomi di continuo per allontanarmi dal pericolo, ho dovuto lasciare la mia città e anche i miei familiari, fatta eccezione per mio padre, sono dovuti andare via da Caserta e questo è il peso più grande per me. L’impatto di una situazione del genere è immenso e nessuna sentenza potrà ripagare tale mancanza di libertà”.

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