Libero in anticipo e risarcito per ‘trattamento inumano’ in carcere il boss Patrizio Bosti

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E’ stato scarcerato e risarcito da parte dello Stato il boss Patrizio Bosti, cognato di Eduardo Contini ‘o romano e fondatore del famoso cartello dell’Alleanza di Secondigliano insieme l’altro cognato Francesco Mallardo e la famiglia Licciardi della Masseria Cardone.

 

Bosti era detenuto nel carcere di Parma, da dodici anni in regime di isolamento. Torna libero, come anticipano stamane Il Mattino e l’edizione napoletana di Repubblica, con le scuse da parte dello Stato che gli ha anche fatto recapitare un assegno di 2672 euro a titolo di risarcimento del danno, per aver trascorso un lungo periodo della sua vita detentiva “in condizioni ritenute inumane”, all’interno delle carceri nostrane. Sarebbe dovuto uscire dal carcere a dicembre del 2023, ma gli sono stati “scontati” tre anni e mezzo tra liberazione anticipata e il tempo calcolato come credito vantato per il “trattamento inumano”. Era stato arrestato in Spagna il 10 agosto del 2008 e condannato a 15 anni, tre mesi e 23 giorni di carcere. Patrizio Bosti da tre giorni è libero nella sua casa del quartiere Vasto con il solo obbligo di firma.

È tornato a casa Patrizio Bosti, boss della camorra del Vasto-Arenaccia, tra i fondatori della cosiddetta Alleanza di Secondigliano, attualmente ritenuto numero uno della malavita organizzata cittadina. Condannato in toto a 43 anni di carcere per reati di associazione camorristica, omicidio, racket e traffici illeciti, Bosti è rimasto in cella un periodo di tempo molto più basso rispetto al cumulo delle pene rimediate. Stando al suo certificato penale, subito dopo gli arresti in Spagna – era il 10 agosto del 2008 -, doveva stare in cella per 15 anni, tre mesi e 23 giorni: doveva uscire a dicembre del 2023, ma gli sono stati scomputati tre anni e mezzo tra liberazione anticipata e il tempo calcolato come credito vantato per il «trattamento inumano».
I CONTI
Ma proviamo a ripercorrere la strada dell’ormai ex detenuto Patrizio Bosti. Pur essendo stato condannato per omicidio, Bosti è riuscito a non incassare l’ergastolo. È stato comunque condannato per vari reati, cumulando – vale la pena ribadirlo – un totale di 43 anni. Come è noto, però, esiste un principio secondo il quale la somma delle pene ricevute per chi non viene condannato all’ergastolo non può superare il tetto di trent’anni, per cui – dal momento in cui è stato arrestato in Spagna nel 2008 – è iniziato una sorta di countdown, un conto alla rovescia, non privo di sorprese.
Torniamo al ristorante della costa spagnola, dove viene bloccato assieme ad altri soggetti conosciuti agli archivi delle forze dell’ordine. Abbronzatura, camicia bianca, la bella vita di Patrizio Bosti viene interrotta da un blitz dell’Arma dei carabinieri. Finisce in cella, viene spedito subito al carcere duro, ma la sua condanna a trent’anni viene letta a ritroso, legata cioè agli anni trascorsi in passato in cella, magari in continuazione con precedenti detenzioni. Ed è a questo punto che Bosti gioca una doppia fiche sul tavolo della giustizia. Da un lato, ottiene la cosiddetta «buona condotta», per la quale vengono scorporati tre mesi per ogni anno di cella; dall’altro batte sulla questione del trattamento inumano. Prima si rivolge al Tribunale di Sorveglianza di Reggio Emilia, poi a quello di Bologna, dove le sue ragioni trovano fondamento.
Celle affollate, strutture fatiscenti, mancanza di servizi, uso promiscuo di bagno per lavare stoviglie e cucinare, mancanza di doccia, poche ore di socialità sono i punti su cui batte Patrizio Bosti, finendo con il convincere i giudici di essere meritevole di uno sconto. Gli tolgono dei giorni di carcere, che si sommano a quelli della cosiddetta buona condotta, poi – di fronte all’impossibilità di concedergli altro margine di liberazione anticipata -, arriva anche l’assegno premio di 2672 euro. Una scarcerazione destinata a finire al centro dell’attenzione della Dda di Napoli, anche alla luce delle indagini condotte negli ultimi due anni dalla Procura di Gianni Melillo. C’è infatti la convinzione dell’esistenza di un sistema criminale che da anni governa il malaffare a Napoli e nell’area metropolitana, fondato sulla contrapposizione di due cartelli criminali: da un lato il clan Mazzarella, che – dal rione Mercato attraversa tutta la periferia orientale, con ramificazioni fino ai comuni di Marigliano e di Somma vesuviana; dall’altro l’Alleanza di Secondigliano, che ora ritrova uno dei suoi capi fondatori. Soggetto ritenuto di indiscusso carisma malavitoso, Patrizio Bosti viene indicato come l’alter ego di Edoardo Contini, detenuto dal 2009, capace comunque di dare continuità ad un clan sopravvissuto a decine di arresti e confische. Da tre giorni libero con il solo obbligo di firma, Patrizio Bosti ha fatto ritorno al Vasto e ha confermato il proprio atteggiamento all’insegna del basso profilo. Nessuna mossa fuori posto, pochissimi contatti – per lo più ridotti ai propri familiari – l’esatto contrario del cliché del camorrista che assume atteggiamenti plateali. Ha ritrovato una Napoli cambiata, con centinaia di negozi messi in ginocchio dalla crisi sanitaria, con la disperazione di chi non sa come riaprire i battenti e rialzare la saracinesca. Un motivo in più che spinge gli inquirenti a mantenere alto il livello di guardia, dopo il ritorno a casa del boss vittima della «inumanità» dello Stato italiano.


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