Napoli, ci sono altri 35 indagati nell’inchiesta sui fallimenti ‘pilotati’ tra l’esperto commercialista e i finanzieri corrotti

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Napoli Ci sono ben 35 indagati nell’indagine sui fallimenti societari pilotati con la regia dell’anziano ed esperto commercialista, Alessandro Gerolmini, ex campione di rugbye  la compiacenza degli imprenditori titolari delle società da far ‘chiudere’ e la complicià’ di militari della Guardia di Finanza, pronti a chiudere un occhio. E’ l’ipotesi d’accusa alla base dell’indagine ‘Bad Company’ della Procura di Napoli Nord e della Guardia di Finanza di Napoli che ha portato in carcere per corruzione due finanzieri delle Fiamme Gialle in servizio proprio a Napoli, e ai domiciliari – per l’eta’ piuttosto avanzata – del noto commercialista 77enne Alessandro Gelormini, che in passato ha lavorato come fiscalista per Paolo Cirino Pomicino, e di tre imprenditori responsabili delle società indebitate con il Fisco i cui fallimenti – secondo gli inquirenti – sono stati pilotati proprio per evitare ai titolari di dover pagare somme cospicue di tasse e imposte mai versate. Si tratta dell’armatore Nicola D’Abundo, e gli imprenditori Domenico Truda e l’ischitano Alfonso Petrillo. Personaggi conosciutissimi nel mondo della finanza e con profonde relazioni d’amicizia con diversi uomini politici. Sette le società sequestrate: tra queste la Eg Holding Srl che ha la partecipazione di un’altra società, la Castelli di Ischia, tra cui figura a patrimonio anche il Castello Aragonese, ma la struttura resta comunque aperta al pubblico e il sequestro riguarda soltanto quote di circa 20 milioni di euro. Le altre società avocate dallo Stato sono la Servizi Srl, un’immobiliare di Roma con un valore di quasi 4 milioni di euro e la Tragara Srl a cui è stato sequestrato un immobile del valore di 3,6 milioni a Capri. Ingente il sequestro effettuato per le quote societarie di Castel Porona, un hotel di lusso in provincia di Grosseto con un valore di oltre 13 milioni di euro. Sono tutti ai domiciliari. I reati contestati a vario titolo sono la corruzione e la bancarotta fraudolenta. I provvedimenti cautelari sono stati emessi dal Gip del Tribunale di Napoli Nord. Del Castello Aragonese di Ischia, tuttavia, non è stata sequestrata l’intera struttura, ma solo una parte non aperta a pubblico e dove sono in corso lavori di ristrutturazione. Per l’accusa i due militari delle Fiamme Gialle avrebbero intascato una tangente da 4mila euro da Gelormini affinchè alterassero il contenuto di un verbale redatto all’esito di un controllo incrociato a carico di una società il cui titolare era cliente del commercialista. L’inchiesta e’ un filone di quella – poi finita per competenza alla Procura di Roma – che ha riguardato il giudice della sezione fallimentare del tribunale di Napoli Nord e di quella di Santa Maria Capua Vetere Enrico Caria, finito agli arresti domiciliari ad aprile scorso con l’accusa di aver veicolato nomine di consulenze in cambio di favori. I pm di Napoli Nord, coordinati dall’aggiunto Domenico Airoma, avevano iniziato ad indagare sul presunto giro d’affari illecito connesso ai fallimenti societari, scoprendo il business che se ne celava dietro; quando è emerso il coinvolgimento di Caria, le carte sono passate a Roma, mentre ad Aversa la Procura di Napoli Nord ha continuato ad indagare sul filone locale, scoprendo il ruolo di primo piano che sarebbe stato rivestito dal noto commercialista napoletano Gelormini in tutta una serie di fallimenti di grosse società, già peraltro indebitate soprattutto con il Fisco. Il compito del professionista era di ridurre sensibilmente, per gli imprenditori titolari delle società, il quantum da pagare all’Erario, che spesso restava con un pugno di mosche in mano. Il commercialista cercava di tenere i suoi clienti anche al riparo da conseguenze penali; per far questo non ha esitato a pagare una mazzetta a due finanzieri del Comando Provinciale di Napoli. La particolarità è che la tangente da versare, consegnata dall’imprenditore al professionista, era in totale di 6mila euro, ma Gelormini ha dato ai pubblici ufficiali 4mila euro, tenendo per sè i rimanenti 2mila euro, frodando, ritengono gli inquirenti, il cliente.

 

 


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