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Toghe corrotte, i giudici chiedono la libertà

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Roma. Intascava mazzette per aggiustare sentenze e affidare incarichi a periti assicurativi: chiede di tornare in libertà Antonio Iannello, il giudice di pace in servizio a Torre Annunziata, arrestato il 27 settembre scorso dalla guardia di finanza, ed ora sospeso. E’ stata fissata per il 22 ottobre prossimo, l’udienza dinanzi ai giudici del tribunale della Libertà di Roma, nella quale si discuterà il ricorso presentato dall’avvocato Francesco Matrone sulle esigenze cautelari e sulla competenza territoriale del processo. Insieme a Iannello compariranno dinanzi ai giudici romani anche Raffale Ranieri, anch’egli in servizio a Torre Annunziata come giudice di Pace e Francesco Afeltra. I tre sono gli ultimi della serie di 27 indagati raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice del Tribunale di Roma a settembre scorso nell’ambito dell’inchiesta per corruzione nel palazzo di giustizia oplontino a comparire dinanzi al Riesame. Il 18 ottobre, altri tre indagati dovranno discutere il ricorso per la libertà. Fino ad ora, i giudici romani hanno rigettato tutte le richieste di scarcerazioni, accogliendo parzialmente il ricorso solo per la competenza territoriale, e lasciando immutate le misure cautelari. Nel mirino della guardia di finanza sono finite numerose cause per sinistri stradali valutati da Iannello, in particolare, e per le quali il giudice pretendeva una ‘mazzetta’ da periti assicurativi nominati e da avvocati. Gran parte dei sinistri erano istruiti da Salvatore Verde, il perito assicurativo con studio a Boscoreale, al centro di un’inchiesta parallela che nei giorni scorsi ha portato all’arresto di 14 persone.
La difesa di Iannello solleverà sicuramente l’eccezione della competenza per territorio che secondo l’avvocato Matrone dovrebbe essere radicata al Tribunale di Nocera inferiore, visto che le richieste e gli scambi di danaro contestati al giudice sono avvenuti tutti a Scafati, nello studio dell’avvocato. Secondo la difesa, Iannello ha agito da ‘privato’ e non nell’esercizio delle sue funzioni di giudice, e dunque non doveva essere la Procura di Roma ad indagare, bensì quella di Nocera Inferiore.

Rosaria Federico


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