Niente pesce fresco dal Tirreno e dallo Ionio: fermo pesca per un mese

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Stop al pesce fresco a tavola per l’avvio del fermo pesca dal 10 settembre che porta al blocco per 30 giorni consecutivi delle attività della flotta italiana dallo Ionio al Tirreno, nel tratto di costa che va da Brindisi a Roma, andando ad aggiungersi al divieto già attivo nel tratto da San Benedetto del Tronto a Bari, dove si tornerà in mare solo il 23 settembre. Riprende invece la pesca nell’Alto Adriatico da Trieste ad Ancona, dove i pescherecci erano stati costretti a rimanere in porto già dal 30 luglio. Con l’estendersi del blocco allo Ionio e al Tirreno, che coinvolge Puglia, Basilicata, Calabria, Campania e parte del Lazio, denuncia Impresapesca Coldiretti, aumenta il rischio di ritrovarsi nel piatto per grigliate e fritture, soprattutto al ristorante, prodotto straniero o congelato, se non si tratta di quello fresco Made in Italy proveniente dalle altre zone dove non è in atto il fermo pesca, dagli allevamenti nazionali o dalla seppur limitata produzione locale delle barche della piccola pesca che possono ugualmente operare. Secondo Impresapesca Coldiretti, più di 2 pesci su 3 consumati nei territori interessati dal blocco vengono dall’estero.Per effettuare acquisti di qualità al giusto prezzo è bene verificare sul bancone l’etichetta, che per legge deve prevedere l’area di pesca (Gsa). Le provenienze sono quelle dalle Gsa 9 (Mar Ligure e Tirreno), 10 (Tirreno centro meridionale), 11 (mari di Sardegna), 16 (coste meridionali della Sicilia), 17 (Adriatico settentrionale), 18 (Adriatico meridionale), 19 (Jonio occidentale), oltre che dalle attigue 7 (Golfo del Leon), 8 (Corsica) e 15 (Malta).La prossima tappa del fermo biologico 2018 riguarderà l’alto Tirreno, da Civitavecchia a Imperia, dal 1° al 30 ottobre. Dal 15 settembre si fermeranno le attività in Sardegna per un mese consecutivo, mentre per la Sicilia la Regione ha disposto uno stop di un mese nel periodo compreso tra agosto e ottobre a scelta delle imprese. Coldiretti Impresapesca ha più volte negli anni chiesto una radicale modifica di questo strumento di gestione “che non risponde più da tempo alle esigenze della sostenibilità delle principali specie target della pesca nazionale, tanto che lo stato delle risorse nei 33 anni di fermo pesca è progressivamente peggiorato, come anche parallelamente lo stato economico delle imprese e dei redditi”. Secondo l’associazione il meccanismo ha portato a un crollo della produzione, con la perdita di oltre un terzo delle imprese e di 18.000 posti di lavoro.


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