Anziana difende la ragazzina picchiata dal fidanzato: mandata in ospedale

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Una anziana donna di 77 anni, che ha cercato coraggiosamente di difendere una ragazza dalla violenza del suo fidanzato, è stata brutalmente picchiata dal giovane ed è finita in ospedale con trauma cranico.

La donna anziana colpita con due pugni e scaraventata a terra, restando in una pozza di sangue fino all’arrivo di ambulanza e polizia, mentre il ragazzo e la sua compagna sono scappati facendo perdere le proprie tracce. Ora gli agenti del commissariato di via Marconi sono sulle tracce della coppia.
È accaduto il 31 dicembre alle 17.20 nella traversa che da largo Cesare Battisti porta a via Santa Maria del Principio dove sorge l’omonima parrocchia dove Elena Barone Schioppa,  come ricorda riportato da Il Mattino, vedova 77enne e assistente sociale, si trovava per andare a sentire la messa domenicale delle 17.30. Poca gente in strada, quando la donna anziana ha assistito ad una scena che non è riuscita ad ignorare: «Un ragazzo poco più che ventenne stava riempiendo di botte una giovane donna, forse minorenne. Speravo di poter comunicare verbalmente con un giovane difficile, come ho fatto per mestiere per molti anni, ma ho rischiato di morire». E adesso non riesce a darsi pace, il terrore l’assale ad ogni ricordo.
«Sono sconvolta, non dormo la notte perché mi perseguita l’immagine di quel giovane che mi aggredisce. Ho paura di uscire in strada e devo prendere tranquillanti». Sul volto della signora sono ancora ben visibili i segni della violenza. La donna è diabetica e assume la cardioaspirina, per cui al Maresca volevano trattenerla, ma lei ha rifiutato. Inoltre, è affetta da glaucoma ed è stata operata agli occhi per distacco di retina e a seguito dell’aggressione è stata visitata anche nel reparto oculistico del San Leonardo di Castellammare.
«Sono ancora piena di dolori e lividi ovunque – dice in lacrime e mostrando i segni delle botte sul viso – ma quello che non mi passa è lo choc. Ho temuto di perdere la vista. Ho aiutato i giovani tutta la vita, perché mi è successo questo? Non me lo spiego». Poi comincia a raccontare la sua odissea. «Era appena arrivata mia figlia dalla Francia con la mia nipotina di tre anni. La sera dovevamo fare il cenone di fine anno tutti insieme. Ho lasciato per un po’ i miei figli a casa mia e sono scesa per andare in chiesa, sola. Ero quasi arrivata, era buio e non c’era nessuno per strada, solo una signora con una ragazza, finché ho visto venirmi incontro una coppia di giovani che litigavano animatamente. Lui la insultava, poi ha cominciato a darle pugni in faccia. Mi sono passati accanto: quando li avevo alle spalle, ho sentito la giovane gridare aiuto con disperazione. Così mi sono girata e davanti ai miei occhi una scena assurda: lui le stringeva le mani alla gola e lei, piegata su se stessa come se stesse soffocando, implorava pietà. Così ho intimato al ragazzo di smetterla, altrimenti avrei chiamato la polizia. Poteva ucciderla. Lui ha smesso di picchiare la ragazza ed è venuto contro di me come una furia. Mi ha dato due pugni in faccia: il primo non mi ha fatto nulla, il secondo è stato talmente violento che mi ha scaraventato a terra. Ricordo solo un dolore atroce, sangue dappertutto e nulla più. Ero stordita, sotto choc. Non capivo cosa stava succedendo. Ho ripreso conoscenza solo in ambulanza – prosegue Elena – erano con me un’infermiera e mio figlio Gianluca che protestava per la mancanza di un medico sul mezzo di soccorso, visto il caso grave. Cosa ricordo di quella coppia? Lui era alto con la barbetta, poco più che ventenne e giaccone scuro. Lei, ne sono quasi certa, doveva essere minorenne. Qualcuno nel quartiere avrebbe detto che lui si chiama Ciro ed è noto come un personaggio molto rissoso. Volevo fermare la violenza e ho trovato violenza. Negli anni 80 lavoravo con i tossicodipendenti affetti da Aids, non avevo paura di niente e di nessuno: mettevo i guanti e cercavo di salvarli mentre tutti fuggivano, ed oggi quelli usciti dal tunnel mi ringraziano ancora. Io voglio che lo trovino, questo ragazzo, e gli facciano capire che la violenza non porta a nulla. E che lui accettasse un percorso di aiuto specialistico: a mio parere, per reagire così deve avere qualche problema con la droga.»
Foto: Il Mattino


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