Colpo di scena al processo, il boss Cimmino: ”Mi dissocio dalla camorra”

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Come si ricorderà, all’esito del giudizio di primo grado la Procura Distrettuale Antimafia aveva chiesto al G.u.p. presso il Tribunale di Napoli di infliggere al boss Luigi Cimmino, accusato di aver ricostituito il clan che porta il suo nome, la pesante condanna ad anni 18 di reclusione per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, due episodi di estorsione ed un reato di falso afferente ad alcune certificazione mediche di cui avrebbe beneficiato il boss per ritornare a Napoli durante il periodo di libertà vigliata con obbligo di dimora in Cassino.
Ma, in accoglimento di alcune questioni di diritto e di fatto prospettate dall’ avvocato Dario Vannetiello del Foro di Napoli, Cimmino fu assolto da uno dei due episodi di estorsione e riportò la mite condanna totale per anni 7 di reclusione per ben tre gravi reati di cui fu ritenuto responsabile.
Eppure Cimmino aveva la qualità di promotore ed organizzatore del gruppo mafioso nonché l’essere soggetto recidivo per essere stato in passato già per ben due volte condannato per associazione camorristica.
Puntuale l’impugnazione proposta dal P.M. della direzione distrettuale antimafia considerata la notevole differenza tra quanto chiesto e quanto irrogato con la sentenza emessa il 12 ottobre 2016 dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Napoli, dott. Umberto Lucarelli, oltre a dolersi della mancata applicazione dell’aumento della pena per la recidiva, pure di spessore.
Nel giudizio di appello, la tesi della Antimafia è stata condivisa e portata avanti in pieno dalla Procura Generale presso la Corte di appello che ha chiesto ai giudici di aumentare ad anni 18 al Cimmino, mentre ha chiesto di confermare la pena inflitta in primo grado a Palma Pasquale (anni 4 e mesi 8), Ferrante Pellegrino ( anni 5 e mesi 4) Montalbano Raffale (anni 5 e mesi 4) e Festa Luigi (anni 6).
Successivamente al pesante inasprimento della pena formulata dal Procuratore Generale, Cimmino ha avvertito la necessità di far sentire la propria voce.
Nel processo di appello che si sta svolgendo innanzi alla terza sezione della Corte di Appello di Napoli, presieduta dal dott. Carbone, Cimmino Luigi ha chiesto alla Corte di rendere dichiarazioni.
Collegato in videoconferenza dal carcere di Milano “Opera” in quanto detenuto in regime di carcere duro, con tono educato ma deciso ha tenuto immediatamente a precisare di essere dissociato dal crimine.
Una valanga di parole, le sue.
Determinato a cambiare vita, ha riferito di aver da anni deciso di trapiantare la sua vita altrove, lontano dalla città di Napoli, ove è ritornato solo in occasione della nascita del nipotino.
Colui che è stato più volte condannato per essere un camorrista di vertice ha tenuto a sottolineare che il clan Cimmino non esiste più, debellato dalle forze di polizia nel lontano anno 2001, oltre ad essere stato soppiantato dall’avvento di altri nuovi gruppi che hanno messo radici in quel quartiere chic della città, come dimostrato dalle inchieste della Direzione Distrettuale Antimafia che sono sfociate in tre blitz che hanno portato all’arresto di persone che con il clan Cimmino non hanno mai avuto nulla a che fare.
Il veterano ha ulteriormente spiegato ai giudici che un dissociato in quanto tale è oramai spogliato di caratura criminale e di credibilità, spiegando che per tali ragioni non potrebbe più né di ricompattare il clan, né avere rapporti con soggetti orbitanti nella malavita.
Ribadendo alla Corte di appello di essere un uomo “illibato”, mai fermato con pregiudicati, a riprova della sua redenzione, Cimmino ha rappresentato ai giudici che, nonostante ci fosse stata la richiesta di aggravamento della misura di libertà vigilata, la difesa solo qualche anno orsono riuscì a far dichiarare persino a far dichiarare cessata la sua pericolosità, revocando nei suoi confronti la misura di sicurezza cui era sottoposto.
Indubbiamente, le sue parole sono state ascoltate in aula con la dovuta attenzione, sia per la caratura del personaggio, sia per la pertinenza delle sue dichiarazioni rispetto ai fatti di cui è causa, sia per il tono calibrato con il quale sono state pronunziate, senza neppure alcuna sbavatura linguistica.
La prossima udienza è fissata per il giorno 20 novembre ove è prevista la discussione dell’avv. Riccardo Ferone in difesa di Montalbano.
La conclusione del processo di appello è prevista per il giorno 11 dicembre ove termineranno le conclusioni dei difensori, momento nel quale, tra l’altro, si stabilirà se e di quanto la pena inflitta al Cimmino dovrà essere aumentata.
Ma impegneranno non poco l’Autorità Giudiziaria i consistenti atti di impugnazione proposti dalla difesa, la quale chiede la piena assoluzione di chi ritiene non essere più un boss, oltre a proporre sottili questioni giuridiche per cercare di contrastare e compensare l’ articolata impugnazione proposta dalla direzione distrettuale antimafia.
Si intuisce che l’accusa ha molte ragioni a sostegno dell’essere inadeguata per difetto la pena inflitta a chi ha contribuito a scrivere gli ultimi 30 anni di camorra nella città di Napoli, se sol si pensi all’omicidio di Silvia Ruotolo e le ragioni che lo provocarono di cui giustamente si sono occupati per anni le cronache nazionali


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