Glen Matlock, bassista dei Sex Pistols, a Milano per la presentazione di La Storia del Punk di Stefano Gilardino

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I Sex Pitols sono considerati ancora oggi tra i gruppi fondamentali della storia del rock. Un caso più unico che raro per una fama così grande e duratura, con una manciata di canzoni.
Icone del rock al pari di David Bowie, dei Rolling Stones e dei Doors, non soltanto sono riconosciuti come i maggiori esponenti dell’infuocata stagione punk, ma anche come una formazione che ha esercitato una enorme influenza su tutto ciò che è accaduto dopo.
Nel 2006 contro la loro volontà, il gruppo è entrato a far parte della Rock’n’Roll Hall of Fame insieme a tutti gli altri grandi nomi. Allo stesso modo, “Never Mind The Bollocks” è, tutt’oggi, sempre presente in ogni trattazione sugli album rock più importanti.
A distanza di quarant’anni, pare che uno dei gruppi più irriverenti e rivoluzionari sia ormai e definitivamente “passato alla storia”.

Essere punk significa essere diversi, mantenere la propria posizione, stare di fronte a tutte le avversità e non accettare mai un no come risposta – sostiene Glen Matlock, bassista della formazione originaria dei Sex Pistols, poi sostituito dia Si Vicious.
La band capostipite del punk inglese fu fondata a Londra nel 1975 e ne facevano parte il bassista Matlock, il cantante Johnny Rotten, il chitarrista Steve Jones e il batterista Paul Cook.
Il 28 ottobre 1977 diedero alle stampe il loro primo vero album in studio: “Never mind the bollocks. Here’s the Sex Pistols”. A quella data, però, Matlock aveva già lasciato i Pistols: “pensavo di aver finito il mio lavoro con loro. Avevo fatto alcuni singoli, avevo scritto molti pezzi. Nella mia ingenuità di diciannovenne vedevo che la situazione stava diventando non troppo onesta, all’interno del gruppo. E i rapporti con John erano un po’ tesi” – racconta, riferendosi al cantante John Lydon, conosciuto come Johnny Rotten.
Matlock è stato la guest star della presentazione del libro di Stefano Gilardino, giornalista musicale e scrittore biellese, avvenuta a Milano. “La storia del punk”, edizione Hoepli: un saggio di 343 pagine che si legge come un romanzo. “La mia intenzione non era quella di fare un’enciclopedia o un elenco di nomi, ma raccogliere delle belle storie da raccontare, per comporre un affresco generale. Il mio timore più grande era che questo non passasse” – confessa Stefano Gilardino. “Nell’introduzione parlo in prima persona, perché racconto la mia storia, che corre in parallelo con la storia del punk: io ho cinqunt’anni, ho cominciato ad ascoltare punk che ne avevo dieci, nel ’77.
Ho avuto la fortuna di conoscere molti dei miei eroi, o antieroi, di quando ero ragazzino, e, questo libro, è un bel punto fermo: sono i miei primi cinquant’anni di vita, i miei primi quaranta di carriera” – spiega – anche se “La storia del punk” parte dalla seconda metà degli anni ’60, un periodo definito dallo scrittore stesso “protopunk”, il cui cuore pulsante dei primi vagiti punk, che ancora non sanno di esserlo, è il disco “The Velvet Underground & Nico” del 1967, dell’omonima band newyorchese, nata sotto l’ala creativa di Andy Warhol.




    La storia narra che il punk nacque negli States e tenne a battesimo quello inglese: “gli americani erano più votati al divertimento e all’arte, i londinesi erano più legati a una visione politica, a un commento sociale rispetto alle cose”, sostiene Gilardino.
    La storia narra… ma se qualcuno volesse sapere cos’è il punk, ci sono alcuni dischi che dovrebbe assolutamente ascoltare e “Never Mind The Bollocks. Here’s The Sex Pistols” è sicuramente in cima alla lista. Un album che fotografa perfettamente un’epoca – quella del “punk 1977” – con una incredibile lucidità, se si pensa che “l’artefice” è un gruppo di ragazzi di strada, appena ventenni, messi insieme da un manager furbo e arrivista.
    Con la sua lunga e avventurosa genesi, Never Mind The Bollocks può essere contestato per il suo nichilismo o perché suonato in modo elementare, per l’incoscienza o perché rappresenta l’aspetto commerciale di un movimento che voleva essere l’anti tutto per eccellenza, ma in ogni caso non può essere ignorato. Non si può negare che abbia definitivamente portato tutto ciò che il punk voleva dire e fare a un punto di non ritorno.
    Chi “odia” Never Mind The Bollocks. Here’s The Se Pistols gioca secondo le regole dettate dall’album, esattamente quanto chi lo “ama”: in questo disco, bisogna inciamparci per forza.


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