Caso Regeni: ennesima farsa della procura egiziana. Tensioni nella maggioranza per il rientro dell’ambasciatore italiano

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Caso Regeni: ennesima farsa della procura egiziana. Tensioni nella maggioranza per il rientro dell’ambasciatore italiano.

 

Tutti speravano in un nuovo inizio, in seguito all’incontro tenutosi il 1 luglio tra le procure di Roma e del Cairo in merito al sequestro, la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni. Il ricercatore ventottenne dell’Università di Cambridge è stato ritrovato morto il 3 febbraio 2016 sul ciglio di una strada nelle periferie della capitale egiziana, con i chiari segni sul proprio corpo “di disprezzo e odio” procurati da persone senza dignità, capaci di esprimere con le proprie azioni “il male del mondo”, così definito dai genitori del giovane friulano.

Dopo quattro anni di depistaggi, collaborazione assente e mancate risposte ai quesiti posti dai magistrati di Roma all’interno della rogatoria inviata nel 2019, in seguito a un’interlocuzione tra il Presidente Conte e il Premier Al Sisi, si era giunti a un accordo di collaborazione tra le procure dei due paesi, prevedendo una riunione in videoconferenza per il 1 luglio.

    I risultati di questo incontro sono stati senza alcun dubbio deludenti, provocando l’ira dei magistrati che hanno preso parte ai lavori e di alcuni esponenti della maggioranza. A scuotere il dibattito politico è stato il Presidente della Camera dei deputati Roberto Fico, intervenuto duramente sulla vicenda in un’intervista al tg1, in cui ha affermato che il dodicesimo (ed inutile) confronto con la procura egiziana sia stato un vero e proprio “cazzotto in faccia all’Italia”.

    Altri cinque agenti dei servizi segreti egiziani sarebbero coinvolti nell’omicidio, sulla base di quanto emerso dalle indagini svolte dalla procura di Roma. Attraverso l’analisi dei tabulati telefonici si evince un collegamento tra i cinque agenti e gli altri 007 dell’intelligence già iscritti nel registro degli indagati alla fine del 2018 dal pm Sergio Colaiocco, per i quali era stata richiesta collaborazione per eseguire i dovuti accertamenti. A tale richiesta non è stata data, ad oggi, alcuna risposta da parte del Cairo.

    Proseguono, per ora, i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta, che ha deliberato la nomina a collaboratori, con incarico di ufficiali di collegamento, del Tenente Colonnello dell’Arma dei Carabinieri, Orlando Hiromi Narducci, e della Sostituta Commissaria Coordinatrice della Polizia di Stato, Rosa Simone. La Commissione, inoltre, ha dato il via a un ciclo di audizioni sulle responsabilità di governo esercitate dall’epoca dei fatti ad oggi, dopo aver ascoltato lo scorso 18 giugno il Presidente del Consiglio. Sono stati quindi invitati ad essere auditi i ministri in carica Guerini e Di Maio, ascoltato lo scorso 16 luglio, gli ex presidenti del consiglio e ministri Renzi, Gentiloni, Alfano, Moavero Milanesi, Salvini e Minniti.

    Intanto, alcuni esponenti della maggioranza, uniti ai genitori di Giulio, chiedono che sia dato un forte segnale di dissenso in risposta all’ennesima farsa tenutasi il primo luglio: ritirare l’ambasciatore italiano in Egitto. Al riguardo, sembrano esserci visioni contrastanti: il Sottosegretario agli esteri Manlio Di Stefano, seguendo la linea del Presidente Conte, in un’intervista a Radio 24 ha dichiarato che “le pressioni si fanno in mille modi, non si fanno certamente togliendo l’ambasciatore”, ha poi proseguito affermando che “ha un senso l’ambasciatore in un Paese, non è una pedina di ricatto”.

    Nonostante la questione diplomatica sia senza alcun dubbio delicata, è però doverosa un’osservazione in merito alla scelta di far rientrare il nostro ambasciatore. Tale decisione non sarebbe soltanto un gesto simbolico, ma anche una dimostrazione di contrarietà sull’accaduto e sulle conseguenti (mancate) azioni dell’Egitto.
    Un paese come l’Egitto che fugge alla collaborazione, necessaria per chiarire quanto avvenuto e indispensabile per far emergere la verità sull’omicidio, dimostra la propria complicità nell’atroce delitto. Una complicità che rischia di coinvolgere pericolosamente il nostro Paese, intento a mantenere saldi i rapporti diplomatici, ma allo stesso tempo tenuto a stringere la mano di chi rappresenta l’Egitto, una mano pur sempre sporca di quel “disprezzo e odio” che i genitori di Giulio hanno visto in obitorio, sul volto del proprio ragazzo, in un giorno in cui il male ha avuto la meglio sul bene.

    Marco Barbato



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