Camorra, il cugino omonimo del defunto boss Fabbrocino gestiva il clan: 6 arresti

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Era il cugino omonimo del defunto boss Mario Fabbrocino, morto in carcere a 76 anni nel 2019 a gestire il clan

Stamattina, la Polizia di Stato, su delega della locale D.D.A., ha eseguito un’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere emessa dal Tribunale di Napoli – Ufficio G.I.P. a carico di sei persone.

In carcere sono finiti Mario Fabbrocino 67 anni, Michele La Marca, Antonio Iovino, Luigi Gargiulo, Gerardo Nunziata e Giuseppe Viana, tutti ritenuti, a vario titolo, gravemente indiziati di appartenere al “clan Fabbrocino”, operante in San Gennaro Vesuviano e comuni limitrofi.

Mentre Luigi Gargiulo e Giuseppe Viana sono accusati di una tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso posta in essere il 26.09.2019 presso un cantiere edile sito a San Gennaro Vesuviano.

E infine Antonio Iovino e Gerardo Nunziata per la detenzione di armi comuni da sparo e armi da guerra, con l’aggravante del metodo mafioso, commessi nel maggio 2020.

Alla luce degli elementi investigativi raccolti dagli agenti della Squadra Mobile di Napoli, che hanno riscontrato le condotte delittuose degli indagati, il G.I.P. del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, ha emesso il provvedimento restrittivo eseguito in data odierna.

Il clan controllava gli affari illeciti nel Nolano

A tutti viene contestata l’esistenza e l’operatività nell’area del nolano del noto clan Fabbrocino, che ha continuato ad esercitare il proprio controllo sul territorio anche dopo la carcerazione di Mario Fabbrocino (cl. 1943), deceduto in carcere nell’aprile 2019, mediante la reggenza dell’odierno indagato  Mario Fabbrocino (cl.1956).

Le attività tecniche effettuate hanno inoltre consentito di ricostruire una vicenda estorsiva perpetrata in danno di un’impresa preposta ai lavori stradali della via Nola, sita a San Gennaro Vesuviano, posta in essere in data 26 settembre del 2019 dagli indagati Gargiulo e Viana che si sono avvalsi delle condizioni previste dall’art. 416 bis 1 c.p. e di documentare la disponibilità di armi da parte degli indagati Iovino e Nunziata, detenute per conto del clan.



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