Vita d’artista e pandemia. Intervista a Francesca e Fabio, coppia nel lavoro e nella vita

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Continua la nostra ‘indagine’ sulla vita delle coppie di artisti in Campania al tempo de ‘Le varie fasi del Coronavirus’. Una idea nata nel tentativo di ricordare – sempre! – che dietro le perfette geometrie delle statistiche, dietro la rotondità di un numero e il luccichio di un’analisi, ci sono uomini e donne con il loro impegno, dedizione, passioni, diritti.

 

Così, tra curiosità e speranze, idee e introspezioni, siamo andati a ficcare il naso nelle emozioni di Francesca Borriero e Fabio Pisano, uniti nel lavoro e nella vita che così si presentano:

“Sono Francesca, sono una donna, sono u…anzi, NO. Assolutamente no!
Sono Francesca Borriero, sono un’attrice, cofondatrice della compagnia Liberaimago insieme a Roberto Ingenito e Fabio Pisano”.
“Il mio nome è Fabio Pisano, sono o provo ad essere un drammaturgo, e sono co-fondatore della compagnia Liberaimago, insieme a Francesca e a Roberto Ingenito”.



    Come e quanto è cambiata la vostra ‘giornata tipo’ rispetto al pre pandemia?
    Francesca: “Ricordo benissimo il quando: si tornava dalla quinta (e poi avremmo scoperto) ultima replica del nostro nuovo spettacolo per le scuole ‘Il mare non ha porte’ sul tema dell’immigrazione scritto e diretto da Fabio e Roberto, in scena con me altri meravigliosi amici e colleghi. Di rientro dalla Sardegna, si sarebbe sostati a casa solo due giorni per ripartire alla volta di altre regioni.
    Invece arrivavano sempre più messaggi e telefonate di disdetta per le tante date che ci attendevano. In pochissime ore ho capito che si sarebbe trattato di uno stop molto lungo. Così è stato. Era metà febbraio e, come i tasselli di un domino, man mano son cadute anche tutte le certezze di repliche o debutti confermati per i serali che sarebbero seguiti al nostro rientro dalle scolastiche. Un duro colpo ai sogni inseguiti per tanto tempo, al lavoro costruito per anni.
    Quanto alla ‘giornata tipo’, posso dire di averne una soltanto adesso, durante questo periodo di lockdown. Solitamente ritmi e orari cambiano sempre a seconda dell’impegno che si ha. Prima di tutto questo, passavo da sveglie alle 6.00 del mattino, a volte anche prima, lunghi viaggi condivisi coi colleghi tra navi, van, soste in autogrill, valige aperte a metà solo per una notte e ripartenze, a giornate completamente opposte di prove pomeridiane e fino a tarda sera, piuttosto che cene dopo le 00.00 post spettacolo. Senza parlare dei fine settimana inesistenti anche per tenere in ordine la contabilità e la gestione della compagnia.
    Fabio: “La mia giornata tipo rispetto alla cosiddetta ‘normalità’ è cambiata notevolmente e, devo dire che per le prime settimane non è stato nemmeno un cambiamento tanto sgradito; a parte la mancanza degli affetti ormai noti come ‘stabili’, ho sempre anelato restare a casa e passare il mio tempo a poter scrivere, o magari leggere. Chi mi conosce sa che passo gran parte della mia giornata fuori, per strada tra faccende e servizi vari. Poi col passare dei giorni, chiaramente, la clausura s’è fatta più pesante, perché siamo stati molto rispettosi delle regole, uscendo solo tre, quattro volte per fare la spesa. A questo s’è aggiunto una narrazione continua da parte dei media che anche in modo inconscio, ha reso tutto più angosciante”.

    Quale l’aspetto che più vi è mancato, o che vi manca ancora, del vostro lavoro?
    Francesca: “Il palco. Il chi è di scena. I fari addosso. Insomma quel posto e quei momenti che rendono realtà ciò che sino a quel momento non ha ancora preso vita davvero. Quel posto in cui vi è una nascita ad ogni luce che sale, ad ogni apertura sipario, ad ogni chi è di scena, appunto. Quel posto che non è un luogo ma un credo”.
    Fabio: “Chiaramente l’aspetto più nostalgico è il palcoscenico. Eravamo partiti da appena una settimana con lo spettacolo ‘Il Mare non ha Porte’, una tournée di circa un mese tra Sardegna, Calabria, Puglia e Campania che si è praticamente fermata subito. Questo brusco stop ci ha feriti, perché la preparazione e la dedizione per lo spettacolo sono state notevoli, impegnative e piene d’amore. Quando non si può corrispondere tutto ciò, da teatranti, si sta male, ma male sul serio. E’ il cuore del nostro lavoro, non il fine, bensì il mezzo, per arrivare a svelare le sensibilità di ogni spettatore”.

    Cosa vi resterà per sempre di questa inedita ‘esperienza’?
    Francesca: “Beh, anzitutto speriamo che di ‘inediti’ così non se ne vedano più! Al di là di ogni scherzo, resterà senz’altro la paura dell’incertezza. Gli attori ci fanno i conti da sempre ma, almeno nel mio caso, probabilmente non l’avevo mai guardata in faccia da così vicino. Ho pensato a costruire, in silenzio, a combattere affinché quello che per molti è considerato un gioco, un diletto, potesse diventare un lavoro. A farlo riconoscere come tale anche semplicemente a chi mi sta intorno, alla mia famiglia. A formarmi. A lavorare. Quando ti viene tolta la certezza che tra queste fondamentali incertezze puoi ancora cercare e costruire, allora il disorientamento è severo. Rischia di schiacciarti.
    E mi resterà anche il silenzio. A volte è molto importante fermarsi. Silenziarsi e silenziare. Ecco, se devo trovare anche qualcosa di positivo in tutto questo, dico, senza retorica, che mi resterà la piacevole sensazione di non dover correre da nessuna parte. Proverò a portarla con me. Perché in fondo c’è sempre una meta ma non è sempre saggio rincorrerla tra troppi schiamazzi”.
    Fabio: “Ci resterà sicuramente il dramma, un evento del genere si legge nei libri di Camus, nelle opere cinematografiche; viverlo ti cambia molto la prospettiva, ti dà ad intendere ciò che forse conta. Noi abbiamo vissuto la casa, gli spazi, il tempo in modo totalmente diverso, guadagnando la consapevolezza della rarità, della eccezionalità. Mi sono persino illuso che la famosa frase ‘ne usciremo diversi, ne usciremo migliori’, potesse invadere le anime degli italiani, ma è bastato lo schiocco di dita che ha dato vita alla cosiddetta Fase 2, per scatenare di nuovo gli umori neri di una parte, forse minima, ma molto rumorosa, della popolazione. Questo dramma ti restituisce la vita nella sua forma di cristallo, nella sua debole essenza e ammaliante bellezza”.

    Cosa ne pensate di questa trasposizione web di tutto, o quasi tutto, il settore culturale?
    Francesca: “Quando tutto sta per essere perduto, si pensa a qualsiasi maniera per evitare che succeda. Ovviamente, credo, che in questo modo lo si perderebbe comunque. Il settore della cultura e più specificamente dello spettacolo dal vivo, si caratterizza proprio per l’irriproducibilità, per quel hic et nunc che nessuno schermo permetterebbe. Se è mediato non può essere dal vivo. Le anomalie delle quali soffre il settore sono connaturate allo stesso, ma questa di trasporlo in web o quel che sia, la vedo più come una temporanea alternativa, una forma palliativa per tamponare all’assenza che non una modalità di sostituire ciò che mai, per sua funzione e definizione, potrà essere cambiato. Penso, cioè, che tutto ciò che potrà venir eventualmente fuori in questa veste, sarà sempre e comunque qualcosa d’altro. Non di sbagliato, ma d’altro”.
    Fabio: “Non mi sono fatto una idea precisa, perché se dovessi rispondere d’istinto, direi che gran parte del settore culturale in quanto tale si pratica de visu, dal vivo, carne sulla carne. Ma non mi va di rispondere d’istinto, perché l’istinto offusca lo sguardo sul futuro e chissà se questo modus operandi non diventi una pratica comune e alternativa. Nel caso, dovremmo adattarci anche a questo”.

    Relativamente alle vostre attività, avete idee e proposte per il futuro? Cosa vi aspettate? Quale il vostro augurio per la ripresa di tutto il settore artistico culturale?
    Francesca: “Proposte non ne ho. Penso che per il futuro sia necessario, per noi attori, conoscere bene e sempre meglio il settore nel quale lavoriamo. Scegliere in maniera consapevole il nostro percorso professionale senza doverci trovare a recriminare il passato. L’aspettativa che posso nutrire è che finalmente ci si muova come corpo unico, solo in questo modo considerabile. E che si faccia frutto di questo momento per procedere in modo (ecco, in modo, non in maniera) consapevole.
    Il mio augurio è che si possa tornare a lavorare tutti quanto e meglio di prima; la ripresa dell’intero settore non dipenderà solamente da questo ed infatti mi auguro che lo si possa ripensare e, perché no, farlo valere davvero per quel che potrebbe, rifacendosi magari a modelli illuminati di altri paesi”.
    Fabio: “Idee e proposte non ne ho, non credo sia il mio ruolo, il drammaturgo, a proporre qualcosa; il drammaturgo scrive, scrive per quel ch’è il suo presente; forse la soluzione sarà una nuova forma drammaturgica. Ci aspettiamo una risposta, ci aspettiamo che il settore artistico culturale possa “approfittare” di questa pandemia per essere rivalutato ma soprattutto rivalutarsi; sono troppi anni che l’arte ha perso terreno, eppure tutti in quarantena abbiamo visto film, letto libri, magari fatto un giro virtuale per i musei o – perché no – visto un’opera teatrale trasmessa dalla televisione pubblica. L’arte è dentro. Solo che troppo spesso, ce ne scordiamo. L’augurio è semplicemente, riprendere quanto prima, e in condizioni che siano le migliori, per tutti”.

    ‘La cultura non si ferma’ se… continuate la frase.
    Francesca: “Se si ci si punterà in maniera centrale, a partire dalla formazione in giovane età.
    Avvicinare sin da ragazzi quello che sarà il pubblico del domani rappresenta, secondo me, l’unico modo per far vivere la cultura, aldilà dell’economia che resta un capitolo a sè, e una coscienza critica e sensibile diffusa”.
    Fabio: “… torna a vestire quella dignità perduta, negli uomini, negli spazi e nel tempo”.


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