Il clan D’Amico ‘infiltrato’ nella ricostruzione del ponte Morandi: due arresti

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La D.I.A. di Genova sta eseguendo, in Liguria e in Campania, due ordinanze di custodia cautelare nei confronti dell’amministratore di fatto della Tecnodem srl di Napoli e di una donna considerata prestanome nell’ambito della medesima compagine societaria. Sono altresì in corso perquisizioni con esecuzione di sequestri preventivi, si aggiunge. L’azienda è impegnata nella demolizione del “ponte Morandi”. Il manager oggetto del provvedimento è ritenuto contiguo ad elementi inseriti in organizzazioni camorriste. L’indagine è stata diretta e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Genova. La Tecnodem, che si occupa di demolizione industriale di materiale ferroso, nel febbraio scorso é stata inserita tra le ditte sub-appaltatrici per la demolizione e la bonifica degli impianti tecnologici, per una cifra pari a 100.000 euro. Il committente è la Fratelli Omini S.p.a. Amministratrice e socio unico della Tecnodem s.r.l., secondo quanto reso noto dagli inquirenti, e’ Consiglia Marigliano. La donna, che sarebbe priva di titoli o esperienze professionali di settore, e’ consuocera di Ferdinando Varlese, 65enne di Napoli, noto alle forze dell’ordine e domiciliato a Rapallo, in Liguria, dipendente della Tecnodem s.r.l.. Tra le condanne riportate da Varlese, sottolinea la Dia, emerge quella emessa dalla Corte d’Appello di Napoli nel 1986 per associazione per delinquere. Tra i coimputati c’erano presunti affiliati al clan “Misso-Mazzarella-Sarno”, già appartenente all’organizzazione camorristica denominata “Nuova Famiglia”, i cui boss di riferimento erano Michele Zaza e suo nipote Ciro Mazzarella. Un’altra sentenza è quella della Corte d’Appello di Napoli del 2006 per estorsione tentata in concorso, con l’aggravante di aver commesso il fatto con modalità mafiose, da cui sarebbero emersi i legami di Varlese con il sodalizio camorristico “D’Amico”, a cui risulterebbe legato da rapporti di parentela. La Prefettura di Genova ha quindi ritenuto che questi elementi pongano l’impresa “in una condizione di potenziale asservimento – o comunque di condizionamento – rispetto alle iniziative della criminalità organizzata di stampo camorristico”.


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