Gli Evì Evàn, band italo-greca, presenta ‘Chiacchiere al tekès’

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Venerdì 9 febbraio alle ore 21.00, in occasione della III Giornata Mondiale della Lingua Greca e della Cultura Ellenica, la band italo-greca degli Evì Evàn presenta “Chiacchiere al tekès”: musica, aneddoti e racconti per la rassegna organizzata da all’interno dello SPAZIO X di Via Petrarca 25 (Parco dei Pini) a Caserta.
Il Tekès era un locale con finalità e natura ambigue: un bancone da taverna, due o tre bottiglioni di liquori colorati e le saracinesche sempre mezze abbassate. Un posto dove ci si incontrava per fumare il narghilé, chiacchierare, trovare l’amore a pagamento e perdere il tempo con gli amici. Un piccolo spazio oscuro e fumoso dove l’illegalità si mescolava con l’intrattenimento; la borghesia con la malavita. Un modo di passare le serate importato in Grecia dagli immigrati cacciati dalla Turchia dopo la Katastrofì del 1922; un punto di incrocio tra Oriente e Occidente.
Con l’ensemble composto da Dimitris Kotsiouros (bouzouki, cumbus saz), Giorgos Strimpakos (baglamas, canto) e Valerio Mileto (chitarra, oud) ci troviamo in un tekès nella periferia di Caserta per una serata dal sapore orientale; per ritrovare ritmi di vita lenti e il piacere di ascoltare insieme canzoni di storie di amore maledetto, di porto e di periferie cittadine; di prigioni, di zingare, passione per musica, vino e narghilè dove i ritmi dell’allegria si alternano alle melodie melanconiche. Un viaggio nel tempo che con le canzoni rebetike, i canti urbani, la musica dei negri ellenici, ci riporta alla prima metà del secolo scorso, in un’epoca dove la povertà e la fatica di vivere si vincevano cantando e stando insieme. Una musica alternativa, mistikì, nascosta, rispetto alla globalizzazione delle proposte contemporanee.
Nel 2007 gli Evì Evàn esordivano a Roma con il primo concerto di musica rebetika, un genere musicale conosciuto da pochi ellenofili, sebbene la sua tradizione sia lunga quasi un secolo. Dai tavoli delle taverne greche al grande palco dell’Auditorium del Parco della Musica, dai festival di paese alle trasmissioni con radio e televisioni nazionali, anno dopo anno gli Evì Evàn sono diventati “il riferimento del rebetiko in Italia”, come li ha definiti Pier Andrea Canei sul settimanale Internazionale. Al loro ultimo album intitolato Rebetiki Diadromì (Itinerario Rebetiko), orgogliosamente autoprodotto, hanno voluto collaborare anche Moni Ovadia, Daniele Sepe, Vinicio Capossela, Sofia Labropoulou e Nikos Nikolopoulos. In questi sette anni gli Evì Evàn hanno portato il rebetiko in tutta Italia contribuendo a diffondere la conoscenza di una musica che nasce dal cuore e la cui arteria passa per il bouzouki. Attivi anche nel teatro, gli Evì Evàn hanno lavorato con Moni Ovadia e Antun Blazevitc negli spettacoli teatrali Progetto Odissea e Lo zingaro felice.
Le radici del Rebetiko affondano nei ghetti delle città e nelle vicissitudini del sottoproletariato urbano. Nulla a che vedere con la musica rurale, delle isole o del folklore. Vietato dalla dittatura di Metaxas per i suoi forti contenuti ribelli, il rebetiko si suonava al buio delle taverne e della notte; si ballava senza sorridere; si consumava come uno stordimento dei sensi, accompagnato da vino e hashish. È stato definito il blues ellenico perché come il jazz non è solo un genere musicale, ma è prima di tutto un modo di affrontare l’esistenza. Nel rebetiko si entra attraverso la porta stretta della povertà; attraverso uno stile di vita intrinsecamente anarchico dove il canto serve a esorcizzare la mancanza e a mettere in comune i propri dolori in un rito cui partecipano solo gli adepti del culto. Rebetiko, come il jazz delle comunità afroamericane degli inizi del Novecento, è ribellione, un desiderio insieme di affermazione e di perdizione.
Un modo di vivere non convenzionale, finché c’è ouzo, retsina e narghilé, poiché tutto il resto è andato perduto. Così il rebete è tornato ad essere il ribelle, il guappo e l’anticonformista in cui oggi si identificano anche le giovani generazioni che alle fabbriche tedesche preferiscono le taverne, il vino, l’amore, l’hashish e il narghilé. Non c’è taverna, nell’Atene di oggi, a Salonicco o nella più piccola isola dell’Egeo, dove dopo la mezzanotte gli uomini, sospinti dall’ouzo, non si mettano a danzare assieme ai loro vecchi le antiche danze come il hasapiko.
Le canzoni rebetike sono storie vere di amore maledetto, disavventure della vita, passione per danza, vino e narghilè, e trovano espressione in musiche dove i ritmi dell’allegria si alternano alle melodie melanconiche in un viaggio che si snoda fra Istanbul e Atene; Smirne e Salonicco, fondendo insieme sonorità orientali, balcaniche, ebraiche.  É il “virus di una grecità eccentrica” ha scritto Moni Ovadia, che ha trascinato con sé ogni tipo di cultura esule e meticcia così come il jazz ha incorporato nel suo linguaggio il ragtime, il blues, la musica leggera e quella colta mescolandosi con tutti i generi musicali come la samba, i ritmi caraibici e il rock.


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