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Dolores ‘O Riordan: Free to decide. La vita, la morte e il canto

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La morte di Dolores ‘O Riordan segna la fine di un decennio vissuto in bilico tra le certezze e la magia dei rampanti anni Ottanta e le incognite di un nuovo millennio; gli anni Novanta sono stati, per molti versi, quelli di un più sobrio realismo costretto a fare i conti con la globalizzazione e le sue difficoltà.
In questo scenario internazionale e nel mezzo di una produzione musicale nuova, fresca, vasta, e in grado di soddisfare vari gusti ed esigenze, si affaccia con un notevole “insuccesso” una band rock irlandese. Era il 1990 quando Dolores ‘O Riordan entra a far parte del gruppo The Cranberries. Insieme ai fratelli Noel e Mike Hogan, la cantante proveniente dalla campagna irlandese, firma un contratto con la Island Records ma il loro primo lavoro, “Everybody Else is Doing It, So Why can’t We?”, passa inosservato. E’ solo l’inizio. Il 1993 è l’anno della svolta: il gruppo porta a casa la soddisfazione di un tour negli States e i loro pezzi entrano a far parte della top ten delle vendite oltreoceano. Supportata da un delicato Rock alternativo, con una spruzzata post Grunge e alcune evidenti incursioni Celtic rock,  la voce di Dolores “fende il buio” e non per estensione, tecnica o timbro. Non solo.
La voce di Dolores racconta come poche in quel decennio: la dolcezza del suo canto diventa quasi stridente per urlare disagi, angherie e soprusi. E’ avvolgente e calda in “Linger” per raccontare del suo primo bacio, appassionata e affettuosa in “Ode to my family”;  ha sfumature funeree in “Zombie” per denunciare la realtà violenta che viveva in quegli anni l’Irlanda del Nord e, più precisamente, la morte di un bambino causata da quella realtà. Il pezzo è il primo estratto di “No need to argue”, il secondo album dei Cranberries pubblicato nel 1994, ancora oggi il più grande successo di critica della band irlandese con oltre sedici milioni di copie vendute.
Quel suo modo di cantare non era prevedibile a guardarla soltanto, si faceva quasi fatica a credere che quel corpo esile e “dolorante” potesse cacciare tutta quella forza espressiva. I problemi con l’anoressia, un matrimonio con il manager dei Duran Duran finito dopo vent’anni, fino a uno stato depressivo che l’ha portata al tentativo di togliersi la vita, fino al disturbo bipolare della personalità che le camminava a fianco negli ultimi anni di vita. La sua morte  prematura, in una camera d’albergo londinese, è un drappo funebre alla parete di un decennio.
“We are devastated on the passing of our friend Dolores. She was an extraordinary talent and we feel very privileged to have been part of her life from 1989 when we started the Cranberries. The world has lost a true artist today. (Siamo devastati per la scomparsa della nostra amica Dolores. Era un talento straordinario e ci sentiamo molto privilegiati per aver fatto parte della sua vita dal 1989 quando cominciammo i Cranberries. Il mondo ha perso una vera artista oggi.)” – scrivono Noel, Mike and Fergal sulla pagina Facebook del gruppo. Ma lo sgomento e i messaggi di cordoglio arrivano da ogni parte: dai Duran Duran al presidente della Repubblica d’Irlanda, da Hozier, Ronan Keating a Giuliano Sangiorgi, tutti increduli per la fine di un’anima bella – come proprio Keating la definisce -. Intanto resterà nelle nostre teste la dolce durezza di “Zombie, zombie, zombie – ie – ie”, il tono arrabbiato e aggressivo, coinvolgente e appassionato “In your head, in your head they are crying”.


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