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Sentenza del Tar: “L’azienda Bizzarro ha legami con il clan Belforte”

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La nota azienda di autotrasporti di Salvatore Bizzarro, con sede a Marcianise, sembra avere legami stabili con la camorra, in particolare con il clan locale Belforte.

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Questa affermazione emerge dalla sentenza emessa dal Tar Campania – sezione prima presieduta da Gianmario Palliggiano. Il tribunale amministrativo ha respinto il ricorso presentato dall’imprenditore Bizzarro, che in passato è stato presidente del club calcistico di Marcianise, ex consigliere e presidente del Consiglio comunale.

Il ricorso era stato presentato contro la decisione della prefettura di Caserta di non concedere la certificazione antimafia richiesta dall’azienda per l’iscrizione nella cosiddetta “white list” per il settore autotrasporti e contro la decisione dell’Autorità Garante per il Mercato di revoca del rating di legalità.

La sentenza del Tar Campania si basa su diverse circostanze che indicano una stretta vicinanza tra l’azienda di Bizzarro e il clan Belforte. Tra queste circostanze, vi è la presenza come dipendenti nell’azienda di Bizzarro di stretti parenti di importanti camorristi, come Francesco Cirillo, fratello di Pasquale Cirillo, noto killer del clan Belforte ed ergastolano, e Raffaele Cutillo, fratello di Paolo Cutillo, conosciuto come Jack Cutillo e affiliato a Raffaele Cutolo. Jack Cutillo fu ucciso nel 1986 durante uno scontro a fuoco con la polizia. In quell’occasione, fu arrestato anche Domenico Belforte, fondatore del clan omonimo.

Inoltre, Salvatore Belforte, figlio di Benito Belforte e fratello dei capi-clan Domenico e Salvatore Belforte, lavora come portiere non armato per una società di vigilanza presso il deposito dell’azienda di Bizzarro.

La difesa ha sostenuto che i fatti contestati risalgono a un periodo in cui l’azienda era gestita dal padre di Bizzarro e che l’imprenditore stesso sarebbe stato una vittima del clan, poiché avrebbe sempre pagato il pizzo. Tuttavia, il Tar ha citato diverse testimonianze di pentiti che indicano Bizzarro come colluso con la camorra, in particolare l’ex esponente del clan Bruno Buttone.

Il tribunale amministrativo ha evidenziato che la giurisprudenza amministrativa riconosce come “imprenditore colluso” anche chi si lascia condizionare dalla minaccia mafiosa o decide consapevolmente di fare accordi con la mafia per ottenere vantaggi per la propria attività. In questo contesto, il pagamento del pizzo non esclude automaticamente la complicità con la mafia, secondo quanto sostenuto dai giudici.




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