Messina Denaro, come Diabolik boss ‘fantasma’ per trent’anni

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“Prima o poi lo prenderemo.” Questa promessa è stata ribadita negli anni da ministri dell’Interno, investigatori e magistrati nella loro determinazione a porre fine alla latitanza di Matteo Messina Denaro.

L’ultimo esponente di spicco di Cosa Nostra, di 60 anni, è stato arrestato il 16 gennaio, ma si era reso irreperibile subito dopo l’arresto di Totò Riina, che risale a trent’anni fa. Nel frattempo, mentre la polizia scientifica invecchiava la sua immagine giovanile, il suo vasto impero finanziario è stato smantellato pezzo per pezzo e confiscato.

Questo ha comportato il deterioramento della sua catena di protezione e finanziamento e ha svelato il mito di un padrino che aveva un potere illimitato ma conduceva una vita da fantasma, nonostante ciò non gli abbia impedito di diventare padre due volte.

Della sua figlia si sa tutto: il nome, la madre e le scelte che l’hanno portata a separare la sua vita dall’ombra pesante di un padre che forse non ha mai conosciuto. Ha trascorso la sua infanzia e adolescenza presso la nonna, mentre successivamente si è trasferita con la madre, cercando di sfuggire allo stress delle perquisizioni, dei controlli e delle incursioni della polizia.

 Si conosce molto poco del figlio Francesco nato tra il 2004 e il 2005

Dell’altro figlio si sa molto poco, se non alcune informazioni trapelate dalle intercettazioni: si chiama Francesco, come il vecchio capofamiglia, ed è nato tra il 2004 e il 2005 nella zona tra Castelvetrano e Partanna, dove Matteo Messina Denaro ha costruito il suo impero criminale ed economico.

Un implacabile playboy con occhiali da sole Ray-Ban

L’attenzione di Messina Denaro era sempre concentrata sulla gestione della sua latitanza e sulla protezione di questa con una schiera di fiancheggiatori. Uno dei boss più ricercati al mondo ha lasciato di sé soltanto l’immagine di un implacabile playboy con occhiali da sole Ray-Ban, camicie firmate e un elegante stile casual.

Dietro questa immagine sbiadita si nascondono leggende: un grande seduttore di donne, appassionato delle auto Porsche e degli orologi Rolex d’oro, maniaco dei videogiochi e devoto consumatore di fumetti, soprattutto Diabolik, da cui ha tratto il soprannome insieme a uno degli appellativi utilizzati dai suoi più stretti seguaci, “‘U siccu,” che significa “testa dell’acqua,” suggerendo un flusso inesauribile sotto la superficie.

Con i suoi soprannomi, Matteo Messina Denaro incarna il doppio volto di un capo mafioso capace di bilanciare la tradizione e la modernità. Il padrino di Castelvetrano si è sempre mosso tra la ferocia criminale e il pragmatismo politico, spesso considerato l’erede di Bernardo Provenzano e soprattutto del padre, don Ciccio, un altro boss tradizionale morto in latitanza nel 1998.

La sua scomparsa risale già al 1993, cinque anni prima delle indagini sulle stragi di quegli anni. Nonostante ciò, prima di essere coinvolto in tali indagini, Messina Denaro è riuscito a eludere la giustizia attraverso abili manovre, riuscendo a sfuggire agli arresti.

Sulla sua testa è stata posta una taglia di un milione e mezzo di euro, e gli investigatori hanno stretto una tenaglia micidiale intorno a lui per arrestarlo. Neanche i suoi familiari sono stati risparmiati: sua sorella Patrizia è stata arrestata e accusata di estorsione, suo fratello Salvatore, i cognati e persino un nipote sono stati coinvolti. Molti di questi sono stati individuati come prestanome, spesso insospettabili, e hanno subito ripetuti sequestri patrimoniali.

 “Ho ucciso tante persone da riempire un cimitero”

Il “fantasma” di Messina Denaro era stato oggetto di numerosi mandati di cattura e condanne all’ergastolo per associazione mafiosa, omicidi, attentati, detenzione e trasporto di esplosivi. La sua mano è stata riconosciuta in alcuni dei crimini più gravi degli ultimi trent’anni, a cominciare dalle stragi del 1992, in cui sono stati uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Lui stesso si vantava di aver “ucciso tante persone da riempire un cimitero”. Tuttavia, nonostante la fama di uomo spietato, alcuni dubbi hanno iniziato a sorgere sulla sua reale capacità di ricostruire la struttura unitaria di Cosa Nostra dopo gli arresti di Totò Riina e Bernardo Provenzano, dato il processo di frammentazione in atto. Un boss che ha portato Cosa Nostra nel nuovo millennio, ma che alla fine non è riuscito a evitare il destino dei vecchi padrini.



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